Stefano Livadiotti, L’espresso 10/2/2011, 10 febbraio 2011
S’È ROTTA LA CONFINDUSTRIA
(articolo con box) -
Mezza vuota. Così si presentava, intorno alle 14 di mercoledì 26 gennaio, la sala allestita al piano ammezzato del quartier generale romano della Confindustria per rifocillare gli imprenditori al termine dei lavori della giunta di viale dell’Astronomia. Se in mattinata nell’aula del parlamentino aveva fatto capolino poco più di un centinaio di industriali (su 237), e non s’era fatto vedere un solo capo-azienda, al buffet si contavano poco più di quaranta persone. La ressa d’altri tempi era solo un lontano ricordo. E lo spettacolo dei piatti abbandonati sui tavoli fotografava lo stato in cui l’associazione degli imprenditori si avvia a entrare (a maggio) nel quarto e ultimo anno dell’attuale presidenza. Quello in cui il leader in carica subisce un inesorabile declino e deve fronteggiare da un lato i malumori dei colleghi delusi e dall’altro le ambizioni di quanti cominciano a prendere posizione per la corsa alla successione.
All’appuntamento la Marcegaglia arriva, proprio come la sua organizzazione, sull’orlo di una crisi di nervi. "Ha gestito male una situazione difficile", sintetizza uno dei suoi colonnelli. In effetti, se è vero che ci ha messo del suo, è anche certo che non è stata fortunata. La crisi economica non ha dato tregua. Il governo, con le casse vuote e travolto dai guai del suo leader, s’è occupato più delle evoluzioni delle varie Ruby che dei diagrammi del Fondo monetario e la Confindustria, che non è più la lobby di una volta, non è stata in grado di ottenere niente. Poi, come se tutto ciò non bastasse, è arrivato il ciclone Sergio Marchionne. Emma, insomma, si è forse trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma il discorso rischia di valere anche per chi prenderà il suo posto.
Il grande capo della Fiat s’è mosso senza riguardi, anche se non contro la Confindustria. Ha costretto Emma a un affannoso inseguimento e non le ha risparmiato davvero nulla. Al punto che il 22 dicembre il Lingotto s’è preso la briga di smentire una strombazzata mediazione della Marcegaglia sulla vicenda di Mirafiori: in un secolo di storia non era mai successo che l’associato di maggior blasone sconfessasse il numero uno di Viale dell’Astronomia. Il manager con il pullover sgualcito ha scippato a Emma il ruolo di leader. Non solo. Ha aperto uno scenario che mette in discussione il ruolo della Confindustria: con l’approdo ai contratti aziendali, agli occhi degli imprenditori il palazzo dell’Eur (con le sue succursali locali) rischia di trasformarsi in club inutilmente costoso, appesantito da una burocrazia sindacale privata della sua stessa ragione sociale. "L’operazione Marchionne potrebbe avere l’effetto di squagliare il collante associativo", dice un confindustriale di lunghissimo corso.
Tutto questo Emma lo sa molto bene, dato che conosce la Confindustria come le sue tasche: con una parentesi di due anni, ha una stanza al settimo piano del palazzo dal 1996. E, sull’argomento, le vengono attribuite anche molte responsabilità. Già, perché se oggi Confindustria è rimasta ancorata al core business sindacale e non ha granché da offrire ai suoi associati sul fronte dei servizi è proprio perché la Marcegaglia ha frenato la riforma messa in cantiere dal suo predecessore, Luca di Montezemolo.
Spingere sull’acceleratore della nuova Confindustria era una delle raccomandazioni formulate, in un documento datato 13 marzo 2008, dai tre saggi che, dopo aver consultato la base, avevano designato Emma come nuovo presidente. Lei, forse anche per non entrare in conflitto con la burocrazia confindustriale, ha fatto orecchie da mercante. Fino al 21 gennaio scorso, quando dopo quasi tre anni di presidenza, s’è svegliata d’un colpo e ha rilasciato un’intervista al "Corriere della Sera": "A questo punto", si legge nell’incipit, "è venuta l’ora di riformare la Confindustria".
Due giorni dopo, all’insaputa della pletora dei vice presidenti, Marcegaglia ha spostato il tiro sul governo. Archiviata all’improvviso una lunga stagione di collateralismo con palazzo Chigi, che peraltro non le ha consentito di portare a casa alcunché, s’è presentata nel salotto televisivo di Fabio Fazio intimando lo sfratto a Silvio Berlusconi. Salvo poi tentar di innestare una rovinosa retromarcia e arrivando, forse a titolo di risarcimento al governo, a pronosticare una prossima fine della crisi. Uno scenario che sarà smentito a distanza di poche ore dal Fondo monetario e perfino dal Centro-studi di viale dell’Astronomia.
La doppia sortita di Emma è apparsa a molti strumentale. Nell’immediato, oltre a tacitare le critiche sempre più frequenti (vedere la scheda qui sotto), serviva per superare un appuntamento che si annunciava insidioso, come quello di martedì 25 gennaio, quando 49 membri del consiglio direttivo si sono riuniti a porte chiuse per affrontare i due casi più spinosi sul tappeto: quello della Fiat e quello del quotidiano di casa "Il Sole 24Ore". Ha funzionato: seduta tra il direttore generale Giampaolo Galli e l’ex compagno di scuola Antonio Costato, di fronte a Luigi Abete, Emma ha superato indenne la prova. Nessuno l’ha contestata. Resta da capire se, a questo punto, la partita delle nuove relazioni industriali, quella della riforma della Confindustria, e più in piccolo il risanamento del "Sole" sono obiettivi ancora alla portata della Marcegaglia o dossier destinati a planare tra un anno sulla scrivania del nuovo presidente. Per ora, c’è da gestire un malcontento che monta giorno dopo giorno. La Marcegaglia, dicono i suoi sempre più numerosi detrattori, si ostina a fare tutto da sola. E si vede. A partire dalla scelta degli uomini.
Galli, il direttore generale assunto in fretta e furia al posto di Maurizio Beretta, è un fantasma che si trascina stancamente da un convegno all’altro e non ha nessun potere sulla struttura, guidata con il pugno di ferro dal fedelissimo Giancarlo Coccia. Il portavoce Rinaldo Arpisella, detto "Macchia Nera", protagonista del recente scontro frontale con "Il Giornale", continua a fare il lavoro di prima, ma ben nascosto in azienda, dove la presidente è stata costretta a rispedirlo su pressione degli imprenditori (e con grave scorno di papà Steno, che lo detesta). Ma il vero bubbone scoppiato durante la sua presidenza è forse quello del "Sole", una volta fiore all’occhiello della ditta oggi palla al piede con milioni di deficit all’anno. Nei giorni scorsi Marcegaglia sembrava decisa a sostituire il direttore e, prima che ci ripensasse per l’ennesima volta, la Borsa aveva salutato le voci di cambiamenti imminenti con un rialzo. Né decolla il piano di ristrutturazione e rilancio del "Sole" nonostante l’arrivo di un nuovo amministratore delegato, Donatella Treu, voluta dalla Marcegaglia, e che pure va d’amore e d’accordo con il direttore Gianni Riotta.
Anche nelle sedi di periferia non mancano i malumori. Acuiti dal fatto che da un po’ di tempo a questa parte i probiviri, che da decenni sonnecchiavano in qualche angolo del palazzo, vengono spediti in campo quando una provincia dell’impero osa alzare la testa o avanzare qualche contestazione. D’altro canto la rassegna stampa dimentica gli articoli non graditi al vertice o le cronache di accenni di ribellione nelle province dell’impero.
In questo clima sta cominciando la guerra per la successione. Se Berlusconi sarà ancora a palazzo Chigi, il ruolo di king maker spetterà a Fedele Confalonieri. Proprio lui, che tre anni fa la accreditò non senza fatica ad Arcore, oggi è letteralmente furibondo con la Marcegaglia ("Finché c’è lei non metterò più piede in Confindustria", ha sibilato qualche tempo fa). Il fatto è che il presidente di Mediaset era stato chiamato in causa nella rissa tra "Il Giornale" e la Confindustria. E la cosa non gli è andata giù.
Il suo candidato è il capo dei chimici, Giorgio Squinzi, che già si era chiamato fuori nelle ultime due tornate e che oggi partirebbe forte dello zoccolo duro dell’Assolombarda (sconterebbe, invece, l’ostilità dei metalmeccanici, Fiat in testa). Non a caso Squinzi, che nella tradizione dei chimici è una colomba sul fronte delle relazioni sindacali, lesto ha cominciato a smarcarsi da Emma, smaniosa di proporsi come suo sponsor: qualche settimana fa, a Milano, nel chiuso di un comitato di presidenza, le ha fatto il contropelo. Accusandola perfino di non aver saputo illustrare la posizione di Confindustria davanti alle telecamere di Bruno Vespa.
Emma nega marce indietro, accelera e frena nei confronti di Berlusconi, ripete che a viale dell’Astronomia tutto va bene. E che, se la Fiat fa le bizze, in compenso lei ha sollecitato nuovi soci a iscriversi. Per esempio dieci imprenditori cinesi di Prato. Speriamo che stavolta la Cina risponda all’invito con maggiore entusiasmo: durante l’ultima visita ufficiale a Pechino la delegazione della Confindustria dovette accontentarsi di essere ricevuta dal vice-sindaco...
Radiografia di una lobby
Fondata nel 1910 Confindustria raggruppa 144 mila e 190 imprese di tutte le dimensioni, che in totale danno lavoro a 5 milioni e 392 mila addetti.
Su base territoriale la Confindustria ha 18 sedi regionali e cento provinciali. Le associazioni di categoria sono invece 97 e 20 i soci aggregati.
La Confindustria è guidata da un comitato di presidenza, di cui fanno parte il numero uno, i suoi vice e alcuni delegati. Il parlamentino degli imprenditori è la giunta, che attualmente conta oltre 230 membri e si riunisce una volta ogni due mesi a Roma. Il governo dell’associazione è invece il consiglio direttivo, nel quale, gli invitati stanno superando i componenti effettivi