Ilaria Solari, Gioia 12/2/2011 (uscita 4/2), 12 febbraio 2011
ANDREA S’ERA PERSO
Da qualche tempo Piero Rovayaz aveva un pensiero fisso. Andare su, sopra la frazione di Ivery e pulire tutta la sterpaglia intorno alla vecchia stalla. «Lascia stare», gli ripeteva il figlio. «È almeno dieci anni che non ci passa più un’anima da quel rudere. È una giungla. Ci entri e non sai se ne esci».
Ma il vecchio Piero continuava a pensarci: dalla proprietaria
aveva avuto il permesso di fare legna su quel pezzo di terreno, in cambio s’era impegnato a tenerlo pulito. Tutto quanto, compresa la mangiatoia diroccata che sembrava il castello della Bella Addormentata, tanto era inghiottita dalla vegetazione, e non gli sembrava proprio giusto lasciarla andare in malora così. Sicché, qualche giorno fa, ha convinto l’amico Roberto ad accompagnarlo e l’ha scarrozzato con sé fin su, deciso a fare un po’ di pulizia. «Era un chiodo fisso per mio padre», riconosce ora Mauro Rovayaz, figlio di Piero e assessore ai Lavori pubblici giù a Pont-Saint-Martin, piccolo centro sulla via Francigena, nella bassa Val d’Aosta. «Chissà, forse si sentiva addosso un presentimento».
E a parte l’ostinazione, che non scarseggia tra questa gente di mezza montagna, c’è da chiedersi se davvero l’abbiano mandato
dall’alto, il Piero, a fare quella brutta scoperta che ora l’annichilisce e gli sembra davvero di non poter più uscire da quella maledetta stalla.
Perché lui, lo scheletro che c’ha trovato dentro, ha capito subito di chi era. Non mancava niente: lo zaino, il taccuino, la Bibbia, meticolosamente catalogata e suddivisa da tutti quei segnalibri, e il tomo sull’Antico Testamento rilegato di cuoio buono. C’era
anche la tenda, montata a metà, col sovratelo e i pali buttati da un lato. Lo stesso igloo azzurro, che quel ragazzo un po’ strano aveva piantato poco lontano da lì, vicino al laghetto di Oley.
Quando il maresciallo della forestale, pace all’anima sua, gli aveva chiesto di spostarsi e lui senza protestare s’era trasferito nel campeggio di Liliannes. Ne era passato di tempo, ma non se ne incrociano tanti di forestieri così al villaggio. E anche così, a pancia sotto, Piero sapeva che non poteva che essere lui, il ragazzo che parlava di Gesù.
I giornali hanno scritto che si chiamava Andrea Giardino, e se i test del dna non hanno sciolto il responso, quelle erano proprio le sue cose: come era apparso un giorno nella valle, nel marzo di nove anni prima, zaino in spalla e scarpe da ginnastica, così era sparito qualche settimana dopo, senza lasciar traccia. Finché
non s’era vista la sua foto parecchi mesi dopo, a Chi l’ha visto?
Di lui si sa che veniva dal Sud, da Lucera, vicino a Foggia. Che aveva girato un po’ l’Italia, Catania, Roma, Salerno, animato dal desiderio di entrare in un ordine religioso.
L’hanno paragonato al giovane Christopher McCandless, protagonista di Into the wild, il film di Sean Penn. Ma Giardino non assomiglia allo studente brillante che s’avventura in terre selvagge, sfidando una civiltà in cui non si riconosce e rinunciando a un’avvenire promettente. A 27 anni suonati, Andrea di promesse da mantenere non ne aveva, se non quella
sua, segreta, fatta direttamente a Dio. E siccome era orfano, non aveva nemmeno la stessa famiglia solida e affettuosa.
La “promessa” l’aveva portato a Genova, per trascorrere il primo anno di noviziato dai Gesuiti. Ma qualcosa è andato storto: i padri hanno forse pensato che Andrea non avesse le spalle abbastanza larghe, che la sua vocazione, per quanto sincera, fosse troppo fiaccata dal dolore che lo rendeva ancora bisognoso del conforto di una famiglia.
Sicché gli hanno consigliato di fare prima un un po’ di apostolato nel mondo, indirizzandolo in una comunità di famiglie impegnata nel sociale, avviata dai Gesuiti alle porte di Milano. A Villapizzone, dove Andrea avrebbe continuato a prepararsi e si sarebbe temprato, lavorando insieme ad altre persone. Forse lui non ha capito, forse l’ha presa come una sconfitta.
Aprendo a caso il suo taccuino, uno dei carabinieri accorso lì alla stalla, si è fermato su una pagina: c’era, ripetuta quattro o cinque volte la stessa frase: “Perché hanno espulso Andrea Giardino?». Spesso, ricorda il Piero, parlando con la gente, tornava su quell’idea dell’“espulsione”.
Fatto sta che a Villapizzone Andrea si è fermato solo un mese. La signora Betti, madre della famiglia che l’ospitava, ora non vuole parlare, non finché non è certo che quel cadavere sia proprio il suo, spiega a denti stretti. E comunque non prima che
gli sia data finalmente sepoltura. Danila, che coordina la comunità, confessa che in fondo la Betti se lo sentiva: lei, che è bergamasca, diceva spesso di essere convinta - proprio come per Yara, la ragazzina di Brembate - che Andrea riposasse per sempre, perso da qualche parte. Quando è partito da Villapizzone, i suoi due fratelli erano preoccupati, ma Andrea li ha rassicurati: aveva bisogno di stare ancora un po’ da solo, per tutta la quaresima, almeno fino a Pasqua, ma avrebbe dato sue notizie. Così ha fatto, ogni giorno, fino a Pasqua.
In valle molti se lo ricordano ancora bene quel ragazzo alto e ossuto, col viso affilato dal pizzetto e il sorriso gentile: girava per i paesi lì intorno, parlava poco e quasi sempre di argomenti religiosi. «Aveva quel vizio lì di annotare forsennatamente commenti e pensieri spirituali sul suo taccuino, ma non era rimbambito», osserva ancora Mauro Rovayaz. «Si esprimeva in modo coerente, forbito e educato». Ogni tanto lo si incontrava con le sue taniche mentre andava a rifornirsi d’acqua. Scarpinava su sentieri e mulattiere, con in mano la Bibbia o il bloc notes, spesso dava l’impressione di essersi perso. Altre volte, più rare, si fermava a fare due chiacchiere: a qualcuno
riusciva a confessare di aver perso presto entrambi i genitori e allora il suo sorriso si faceva più rigido. Poi salutava, ringraziava.
E riprendeva a salire.
«Mi ha detto subito che non aveva molti soldi», ricorda Fabrizio Sesano, proprietario del campeggio Mongenet, a Liliannes, poco lontano da Pont-Saint-Martin. «Gli ho risposto che non c’era problema, di turisti ce n’eran pochi e la sua tendina non mi dava fastidio. Qualche campeggiatore ha cercato di fare amicizia con lui, ma Andrea preferiva stare per conto suo, con la
Bibbia in riva al torrente. Ha dato confidenza solo a una signora di Vercelli: faceva la cuoca per le suore».
La sorella Giuliana e il fratello Corrado hanno sempre giurato che «Andrea voleva vivere. Ma fuori da un determinato sistema». E forse era proprio questo che cercava in quei giorni: una strada tutta sua per stare insieme agli uomini, con il peso di quel dolore e senza distrarsi dal suo discorso con Dio. Più che
una via di fuga, le montagne valdostane erano il fondale emozionante e silenzioso dove lasciar venire a galla tutti quei pensieri.
Supposizioni, naturalmente. La verità di Andrea probabilmente riposa in quel taccuino che ora è in mano ai carabinieri.
Un cosa però l’abbiamo capita: sembrava aver finalmente ritrovato la strada, «Voleva tornare a Milano», ricorda il
titolare del campeggio, «ha domandato se qualcuno tra gli ospiti andava da quelle parti, cercava un passaggio». Non l’ha trovato e quel che è successo dopo lo ignoriamo.
Forse si è perso di nuovo. O ha deciso di prendere per l’ultima volta la via della montagna: nella comunità di Villapizzone paragonavano spesso la ricerca di Dio a un’ascensione. Da fare in cordata. Ma la prima gittata di corda bisogna pure mandarla avanti da soli: sicché Andrea ha piantato ancora una volta la
tenda vicino al laghetto di Oley, ma poi si è trasferito dentro la mangiatoia, forse per la pioggia, forse per paura delle Guardie
Forestali. Che potesse essere il suo ultimo giorno lo conferma ancora Fabrizio Sesano: «Non passa nessuno di lì, la gente del posto avrebbe notato i suoi movimenti».
Forse lo sapeva anche Andrea. Nel suo zaino hanno trovato una busta: conteneva una diagnosi di cardiopatia stilata da un medico di Milano. Prima di prepararsi a dormire, ha attaccato un’immagine di Gesù a una delle pareti della mangiatoia, ha pensato forse che il figlio di Dio era venuto al mondo in un
posto non molto diverso da quello. È rimasta lì con lui, a fargli compagnia in questi nove anni.