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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

«IL COLPO DI CODA DEL DITTATORE»

«Tu puoi dire quello che vuoi e noi facciamo quello che ci pare: questa è stata per trent’anni la regola per gli intellettuali sotto Mubarak». Lo si legge in un articolo di ’Ala Abbas El Aswani, lo scrittore egiziano che con "Palazzo Yacoubian" e "Chicago" nel mondo arabo è secondo nelle vendite soltanto al Corano.

Aswani vive e lavora al quarto piano di Diwan Street nel quartiere delle ambasciate. La targa di marmo recita “Dottore chirurgo odontoiatra con master all’Università dell’Illinois”. Non mi ha mai visto, non ho telefonato né preso un appuntamento. Il campanello per un minuto suona una marcetta tirolese assordante e quando la porta si apre lui appare in vestaglia allungandomi la chiave dello studio: «Si accomodi pure, arrivo subito». ’Ala è un signore simpatico, con un vocione baritonale, dentista assai improbabile, robusto fumatore e celebrità internazionale dell’opposizione.

Cosa pensa di quanto accade in Piazza Tahrir, a mezzo chilometro da casa sua?: «Credo che sia il colpo di coda di un regime che ha scatenato i suoi “thugs”, gli sgherri, per sloggiare la protesta dal cuore del Cairo, non è la prima volta che qui accadono cose del genere, alle ultime elezioni agenti in borghese e miliziani del partito di Mubarak hanno attaccato e intimidito i candidati delle altre liste. E’ la vendetta di un uomo che non sa più quale carta giocarsi per restare in sella».

Mubarak, come ha annunciato due giorni fa, vorrebbe guidare ancora la transizione fino alle prossime presidenziali. «Non è credibile, soprattutto dopo aver provocato tutti quei morti nelle strade. Di promesse ne ha fatte tante anche in passato: nell’81 disse che non avrebbe fatto più di un mandato, poi che non avrebbe superato i due, difficile credergli. Gli egiziani sono miti come i cammelli, sopportano ogni sforzo e ogni tipo di insulto, ma quando si arrabbiano perdono la pazienza e vanno fuori controllo».

L’addio di Mubarak ad Aswani non basta. Anche senza incontrarlo lo si intuisce dai suoi libri. In "Palazzo Yacoubian" faceva il ritratto di un Egitto acido, politicamente corrotto, ipocrita dal punto di vista religioso e lacerato da grandi diseguaglianze sociali. E’l’immagine di un paese quasi inaccettabile, da cambiare radicalmente, che promette di essere ancora più corrosiva nel suo ultimo libro, pronto per la stampa, “Lo Stato dell’Egitto”.

«Questa non è un protesta ma una rivoluzione per cambiare un intero regime. I fatti della Tunisia hanno avuto il loro effetto anche qui facendo esplodere un paese che ha preso coscienza di un malattia che rischia di ucciderlo: la dittatura». Come mai soltanto ora? «Negli anni Ottanta e Novanta, sotto la pressione del terrorismo islamico, pochi se ne rendevano conto, oggi i giovani egiziani, aperti al mondo anche dalle nuove tecnologie della comunicazione, vogliono guarire da questa malattia con un movimento politico che reclama democrazia e giustizia ma che tocca tutti i campi: si avvicina un grande cambiamento».

Aswani è un sostenitore di Mohammed ElBaradei, premio Nobel per la pace, ex direttore del’Aiea. Gli chiedo se potrà essere il leader di questa rivolta. «Sono tra gli animatori del movimento Kifaya, "Basta", sin dall’inizio, nel 2004, un cartello che riunisce l’opposizione laica. ElBaradei è mio amico, lo rispetto ma questa rivoluzione non ha un leader, è nata dal basso, dai giovani, senza seguire un capo ma il bisogno di libertà. In Egitto ci sono 800mila giovani laureati in Occidente, più di tutta la popolazione di certi emirati arabi: oggi questi talenti sono paralizzati perché in questo sistema non hanno la possibilità di esprimersi».

Mubarak, per legittimare il suo potere autoritario, si è sempre presentato come una diga nei confronti dell’integralismo ma Aswani ha un’opinione diversa. «Non è vero, il regime ha enfatizzato l’influenza dei Fratelli Musulmani: questo Paese non è l’Iran e neppure Gaza. Questa è una società con una cultura cosmopolita, che ha avuto la prima costituzione nel mondo arabo, il primo governo e parlamento eletti dal popolo. L’Egitto di Mubarak somiglia di più alla Spagna di Franco, tagliata fuori per decenni dalla democrazia». «L’ingiustizia, la frustrazione, il sostegno alle dittature arabe - aggiunge lo scrittore - sono l’alimento maggiore dell’integralismo».

Aswani ha studiato e vissuto a lungo nel cuore dell’America, quasi invitabile chiedergli un giudizio sulla politica di Washington: «La visione di un Medio Oriente democratico esposta da Obama in discorsi come quello che fece al Cairo ha sollevato speranze ma si scontra quotidianamente con le linee rosse della politica americana come il sostegno a Israele, sempre e comunque». Parlando con Aswani ma anche con altri politici laici è evidente che il rapporto tra Israele e l’Egitto nel dopo Mubarak sia destinato a cambiare. Nessuno a parole vuole cancellare gli accordi di Camp David del 1978 firmati da Sadat ma, sottolinea Aswani, «una pace si rispetta soltanto quando è giusta».