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 2011  febbraio 03 Giovedì calendario

Quella grande fuga di notizie che resta senza colpevoli - Fughe. Fughe inarrestabili. Fughe senza colpevole

Quella grande fuga di notizie che resta senza colpevoli - Fughe. Fughe inarrestabili. Fughe senza colpevole. È così che va la giustizia italiana da quando la giustizia fa notizia. Dal primo ciak di Mani pulite, quasi vent’anni fa.Certo,allora gliarrestisi sus­seguivano sul nastro della procura, al quarto piano, e qualche volta il Gabibbo arrivava sotto casa prima dei carabinieri e prima delle manette. Oggi gli spifferi portano sui giornali frammenti di verbali in tempo reale, notizie che servono a far discutere ma non aggiungono un gram­mo all’inchiesta, intercettazioni che poi, a bocce ferme, riservano sorprendenti ri­letture. La contabilità degli incendi mediatici, quella non la tiene più nessuno. Figurar­si. Già nell’ormai lontanissimo 1995, un’epoca fa, gli avvocati del Cavaliere, contestavano 130 fughe non ortodosse. Numeri che oggi, se aggiornati, verrebbe­ro polverizzati. Numeri che, naturalmen­te, nessuno dentro i palazzi di giustizia ha mai preso sul serio. Perché le Procure spesso considerano la fuga un episodio deplorevole, ma non un reato. E perché le poche indagini aperte sono davvero, per dirla con il linguaggio della magistra­tura, atti dovuti. Atti dovuti e nulla più. Atti senza futuro. Gli avvocati del Cavalie­re, ma non solo loro, hanno depositato nel tempo diverse denunce, a Milano, e anche a Brescia, competente per i reati compiuti dalla magistratura di rito am­brosiano. In un caso e nell’altro i risultati sono stati nulli. Le inchieste trascinano nel loro corso impetuoso tutto quello che trovano. Co­me tronchi portati dai flutti arrivano nel mare aperto dell’opinione pubblica le avance del banchiere Pierfrancesco Pa­cini Battaglia ad Alessandra Necci , «la bella figliola» di Lorenzo, il gran patron delle Ferrovie dello Stato. È il 1996. Quin­dici anni fa. E le scintille sembrano quel­le di oggi. Anche se i meccanismi non so­no gli stessi. Oggi l’inchiesta trova il suo altoparlan­te in parlamento. Dal tavolo della giunta, come da una stazione di transito, i docu­menti ripartono per le redazioni. E inva­dono il Paese. Emergono brani di inter­cettazioni, emergono verbali di interro­gatorio, emergono riscontri bancari. Ed escono anche notizie che con l’indagine stessa non hanno nulla a che fare. Non importa. Va bene così. Ecco, per esempio la primizia servita ieri dai quotidiani: il Cavaliere ha dato ventimila euro alla mamma di Noemi , la signora Anna Leti­zia. È chiaro, questi soldi non hanno nes­sun legame con le imputazioni mosse a Berlusconi, ma l’effetto domino è rag­giunto. E l’opinione pubblica può pensa­re che ci sia un filo unico a cucire i diversi episodi. Anche quelli più crudi. Ecco che una conversazione fra Nicole Minetti ed Emilio Fede finisce sui giorna­li anche se si tratta di vicende disgustose, avvilenti e nulla più: «Maristella - spiega la Minetti - lavorava con uomini che vo­mitavano in macchina ». E avanti a spiega­re che le prestazioni di sesso orale costa­vano trecento euro. Così gli atti dell’in­chiesta entrano in modo massiccio nel circuito dell’informazione. Con il solito problema di sempre: i filtri non ci sono. Oggi come ieri. Quando i messaggini della coppia Falchi­Ricucci finiscono al­legati in coda agli scoppiettanti dialoghi dei furbetti del quartierino. È un classico. Come l’involontaria confessione pubbli­ca di Alessandro Moggi , figlio di Lucia­no: «Ho speso 10mila euro per portarla a cena a Parigi, ho preso un aereo privato, albergo di lusso, ristorante favoloso ma è andata buca». Ilaria D’Amico , la condut­trice televisiva, non si è lasciata abbaglia­re da tanto fasto. Ma che c’entra ilcorteg­giamento di Moggi junior, come quelle di Pacini Battaglia,con la polpa dell’inda­gine? Mistero. Eppure sono quei dialoghi la­terali, magari pecorecci o scurrili ma sen­za sostanza penale, a calamitare milioni di persone. Basta rileggere l’ormai ster­minata letteratura telefonica e cercare le frasi cult. Come quella pronunciata da Vittorio Emanuele di Savoia , prima del­l­’arresto disposto dalla procura di Poten­za: «I sardi puzzano e basta». Il suo inter­locutore, il raffinato Gian Nicolino Nar­ducci , sta sullo stesso registro e duetta a meraviglia col principe: «sono figli di p..e deficienti». Così, quando parla a ruota li­bera della giornalista del Manifesto Giu­liana Sgrena, sequestrata in Iraq e libera­ta con una drammatica operazione in cui muore Nicola Calipari, il poco regale principe va giù pesante: «quella vechia t.. malmestruata». «Comunista di m..», chiosa il sempre più elegante Narducci. Volgarità. Turpiloquio. Buco della serra­tura. E fughe su fughe. L’arte della fuga. Quasi una colonna sonora di questi anni. Con pochissime interruzioni.