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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

IL TEXAS SENZA SOLDI PER CHRIS - A 28

anni, Chris Giles era un texano esemplare. Indipendente, carico di energia e con forte spirito di iniziativa. Pur avendo un posto di lavoro sicuro come ingegnere programmatore aveva in mente di mettersi in proprio aprendo una società di consulenza con il fratello Robert.

Allo Stato non aveva mai chiesto niente. Fino al 24 maggio scorso, quando un automobilista che non si è fermato allo stop lo ha travolto mentre era in sella alla sua Harley Davidson. L’impatto è stato così violento che neppure il casco ha potuto prevenire un gravissimo trauma cranico.

L’unica sua speranza per tornare a muoversi o parlare è una terapia di riabilitazione tanto intensiva quanto costosa che né la sua polizza assicurativa né quella di chi lo ha investito sono disposte (od obbligate) a pagare. Il dipartimento della sanità statale ha un programma del genere gratuito, e da maggio a dicembre Chris ha aspettato il suo turno paralizzato in un letto di una casa di ricovero pagata dai genitori. Ce l’aveva quasi fatta - era salito al terzo posto della lista di attesa di quasi 200 - quando al padre è stato comunicato che, per via del deficit di bilancio, il governatore del Texas aveva imposto un nuovo taglio alle spese sanitarie: per i primi 8 mesi del 2011 il programma di riabilitazione non avrebbe accettato nuovi pazienti. Chris è stato rimandato a settembre.

«Lo stesso stato che permette a un automobilista di circolare con una polizza insufficiente a coprire tutti i danni che può causare agli altri, decide di non farsi carico dei costi di cura di una vittima innocente di quell’automobilista. Non è solo incredibilmente frustrante, è surreale», dice a Il Sole-24 Ore Bob Giles, che sta velocemente consumando i risparmi di una vita per la riabilitazione di suo figlio Chris. Il problema è che per lui l’emorragia finanziaria potrebbe non finire a settembre. Perchè la proposta di bilancio per il prossimo biennio presentata al parlamento statale del Texas anticipa nuovi, e ancor più massicci, tagli alle spese. Il programma di riabilitazione potrebbe essere abolito del tutto.

Le previsioni sono di una falla tra i 25 e i 30 miliardi di dollari. E sia il governatore Rick Perry che il parlamento statale (uscito ancora più saldamente nelle mani dei repubblicani dalle elezioni del novembre scorso) hanno assicurato agli elettori che non aumenteranno le tasse.

Anche per il Texas è dunque venuta l’ora dei tagli. Come per la California, l’Illinois o New York e New Jersey. Nulla di nuovo sotto il sole e la bandiera a stelle e strisce. È finita l’era delle vacche grasse. Eccetto che, in termini di spesa pubblica, in Texas le vacche sono rimaste sempre pressoché scheletriche. All’ingrasso non sono state mai messe. Perché, nonostante le entrate date da pozzi petroliferi e giacimenti di gas, lo stato non ha mai allentato i cordoni della borsa. Privo di qualsiasi tradizione di interventismo o assistenzialismo, ha sempre preferito ridurre la pressione fiscale. In Texas più che in qualsiasi altro stato, la classe politica locale ha infatti una fobia particolare per le tasse. Tant’è che la costituzione del Lone Star State - come si chiama per via della singola stella nella sua bandiera - addirittura proibisce l’imposta sul reddito.

«Anche quando a comandare erano i democratici, lo stato ha sempre fatto e dato meno che nel resto del paese - osserva Sherri Greenberg, direttrice del Center for Politics and Governance di Austin -. Da anni in servizi pubblici il Texas spende pro capite molto meno di ogni altro stato americano». Ma allora come può trovarsi oggi davanti alla prospettiva di un deficit di bilancio molto più alto di uno stato tradizionalmente assistenzialista come l’Ohio?

Secondo Greenberg, il motivo è semplice: qui si è portata alle estreme conseguenze la cultura darwinistica della frontiera e si è applicata la strategia socio-politica dell’ala anti-statalista e liberista del partito repubblicano secondo cui per ridurre al massimo spese e servizio pubblico, la via più efficace è quella di "affamare lo Stato". «Qui il dibattito non è sugli sprechi o gli eccessi della spesa pubblica. Su quello siamo tutti d’accordo. Infatti in Texas non ci sono problemi strutturali di sprechi o di eccessi. C’è invece un problema strutturale di entrate insufficienti - concorda Eva de Luna Castro, economista del Center for Public Policy Priorities di Austin -. Negli ultimi cinque anni, tagliando o mantenendo artificialmente basse le tasse in Texas i repubblicani hanno creato un deficit di bilancio permanente. Mancheranno sempre i soldi».

A detta di de Luna Castro, il fondo del barile lo si è raschiato con i tagli di quest’anno. Nonostante ciò l’elenco delle misure suggerite dall’ufficio del bilancio statale per il prossimo biennio è ancora più lungo. Include proposte di tagli molto specifiche e mirate. Come l’idea di far pagare il parcheggio ai dipendenti statali (che genererebbe 5,5 milioni di dollari all’anno). O quella di "incentivare" i reduci di guerra a rivolgersi a servizi sanitari non sovvenzionati dallo stato bensì dal governo federale. Oppure di far pagare ai dipendenti statali parte delle loro spese sanitarie (risparmio previsto nel biennio: 298,1 milioni di dollari).

Ma vista la dimensione del deficit, sono previsti anche tagli massicci a intere categorie di spesa. Come quello di 9,8 miliardi di dollari in due anni alle spese scolastiche, che potrebbe significare la perdita di 100mila posti di lavoro. O quello di 1,7 miliardi di dollari ai contributi statali per college e università (vedi box). Oppure la riduzione di 2,8 miliardi alle spese del programma di sanità pubblica, il Medicaid. E lo stato, che ha ben 27 contee senza medici della mutua, sta valutando adesso la possibilità di ridurre del 10% il proprio contributo ai medici che accettano pazienti con Medicaid. Il che potrebbe spingere molti di loro a rifiutare tali pazienti. «A chi non avrà più accesso ad alcuna forma di medicina preventiva, rimarrà solo l’opzione di ricorrere al servizio del pronto soccorso ospedaliero quando si ammala, trasferendo costi di cura molto più alti sugli ospedali - avverte Ron Anderson, amministratore delegato di Parkland Health and Hospital System, una delle maggiori catene di ospedali pubblici texani -. In questo modo il supposto risparmio finirà con il diventare un peso aggiuntivo sui conti degli ospedali pubblici». E allora qualcuno proporrà di chiuderli. Affamare lo stato.