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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

MOSCHEE CALDE


Il ’Venerdì della partenza’, pro­clamato per oggi in Egitto, con­ferma il giorno sacro dei musul­mani come leva privilegiata delle ri­voluzioni arabe e islamiche. Mani­festazioni di solidarietà con gli egi­ziani – o per un auspicato ’conta­gio’ – sono previste un po’ ovunque oggi, da Amman a Sanaa e da Casa­blanca alla (finora) quieta Damasco, dove un gruppo di 10mila giovani promotori ha invitato i siriani alla piazza per la ’prima giornata di col­lera del popolo’. Questa predilezio­ne per il venerdì non ha, in fondo, nulla di strano. La preghiera collet­tiva di questo giorno e, soprattutto, la successiva khutba (predica, ndr)
offrono un’ottima occasione per sfruttare al massimo la mobilitazio­ne di cui sono capaci in quei Paesi so­lo le moschee. Questo spiega perché molte sommosse popolari abbiano avuto come punto di partenza pro­prio la i luoghi di culto o perché le forze dell’ordine presidino quelli tra essi sospettati di avere un imam par­ticolarmente ’movimentista’. O an­cora perché alcuni governi impon­gano agli imam di attenersi scrupo­losamente al testo distribuito dal mi­nistero dei Beni religiosi per evitare che vengano affrontati nella khutba scottanti temi politici e sociali.

Su questo punto il Corano non è molto chiaro. La sura dell’Adunan­za (Giumu’a, proprio come viene chiamato il venerdì in arabo) esorta i fedeli: «Quando la preghiera è ter­minata, disperdetevi per la terra e cercate d’ottener grazia di Dio». In fin dei conti, la ’dispersione’ o me­no dei fedeli e il ritorno alle norma­li attività dipende dall’imam del luo­go. In Egitto, escludendo le innume­revoli moschee ’private’, istituite al­l’interno degli stabili, si contano al­meno 46mila moschee canoniche. Tra queste, seimila risultano essere sotto il controllo diretto del ministe­ro dei Beni religiosi, inevitabilmen­te legato al governo, e altre quattro­mila sotto il dominio di gruppi radi­cali salafiti. Ne consegue un quadro variegato e composito che solo una decisione nitida di al-Azhar potreb­be chiarire.

Finora, la prestigiosa moschea-uni­versità si è limitata ad appellarsi al dialogo tra le parti. Ma non è esclu­so che il Grande imam Ahmed al-Tayeb decida di varcare il guado non appena apparirà evidente quale sor­te toccherà a Mubarak. Il preceden­te tunisino – terra anch’essa di un’al­tra autorevole università islamica, quella di Zeitouna – è ancora sotto gli occhi di tutti. Qui l’imam della mo­schea al-Fath, nel centro di Tunisi, ha cominciato il sermone con una preghiera «alla memoria dei martiri della rivolta dei giovani», senza men­zionare una sola volta durante il suo sermone il nome di Ben Ali.

Negli ultimi tre decenni sono co­munque apparsi nuovi predicato­ri. All’inizio si trattava di religiosi e laici vicini ai Fratelli Musulmani, poi si sono fatti avanti i sufi ’revivalisti’, seguiti dai salafiti, e infine, attraver­so i canali satellitari, si sono affacciati anche i telepredicatori, alcuni dei quali hanno conseguito grande seguito popolare e notorietà media­tica. Tra questi, lo sceicco Yussuf al-Qaradawi, figura di spicco di al-Ja­zeera, che dal canale satellitare ara­bo più seguito ha già lanciato diver­si appelli agli ulema di al-Azhar per schierarsi a fianco dei rivoltosi.

Un vero grattacapo per molte capi­tali. Se è facile chiudere le moschee dopo la preghiera del venerdì oppu­re dopo l’ultima preghiera serale, co­me fare con i canali satellitari che hanno globalizzato l’idea di ’risve­glio islamico’? Da qui la decisione di alcuni governi di entrare in com­petizione con loro, incoraggiando gli sceicchi delle istituzioni religiose uf­ficiali a comparire nei programmi satellitari controllati dallo Stato. Quei Paesi arabi che non hanno abolito o perseguitato le istituzioni religiose tradizionali sono comunque riusci­ti a controllarle, sfruttandole poi co­me giustificazione del proprio pote­re.

Ciò le ha ovviamente indebolite agli occhi del popolo e le ha sotto­poste alla pressione dei movimenti islamici rivoluzionari.
Dell’importante capacità di mobili­tazione delle moschee sono consa­pevoli tutti i governi e movimenti a­rabi. A cominciare da quelli cresciu­ti all’ombra delle moschee stesse. In Iraq, dopo ogni attentato contro gli sciiti, dai minareti si levano i muez­zin che gridano vendetta e, in pochi minuti, spuntano le armi e si for­mano i primi cortei con le bandiere verdi e nere. Ne è consapevole an­che Hamas che, il 14 agosto 2009, ha dovuto soffocare con le armi la sfida lanciatagli dallo sceicco Abdelatif Moussa, capo di un gruppo salafita vicino ad al-Qaeda. Lo scontro tra le due fazioni era scoppiato dopo che lo sceicco aveva proclamato da una moschea di Rafah la costituzione di un «emirato islamico» accusando Hamas di tiepidezza nell’applica­zione della legge coranica.