FABIO MARTINI, La Stampa 4/2/2011, pagina 30, 4 febbraio 2011
L’ultima notte del Pci un pasticciaccio brutto - Quella notte cambiò la sinistra italiana e la cambiò - nel costume dei suoi dirigenti - più di quanto non fossero riusciti eventi epocali nella storia comunista
L’ultima notte del Pci un pasticciaccio brutto - Quella notte cambiò la sinistra italiana e la cambiò - nel costume dei suoi dirigenti - più di quanto non fossero riusciti eventi epocali nella storia comunista. In poche ore - tra il 3 e il 4 febbraio del 1991, nei padiglioni della Fiera di Rimini - si consumarono eventi destinati a far da spartiacque più di quanto non si capì in quelle settimane. Si sciolse, a 70 anni di età, il Pci. Fu battezzato un nuovo partito, il Pds, che però, appena nato, rimase senza testa: Achille Occhetto, l’artefice della svolta, non poté essere eletto segretario perché alla votazione partecipò meno del 50 per cento dei delegati del «parlamentino». Lui, Occhetto, se la prese assai, fuggì dal congresso, si rifugiò con la moglie Aureliana in un casolare della Maremma circondato da un muro di neve e soltanto quattro giorni più tardi poté essere eletto segretario del Pds. In quelle settimane si ripeté che la mancata elezione di Occhetto era stata determinata da seri disguidi organizzativi (e ve ne furono), ma nei venti anni successivi un rosario di testimonianze, tra loro autonome, ha consentito di ricostruire il quadro del puzzle: nella notte a cavallo tra il 3 e il 4 febbraio il flop di Occhetto fu preceduto - e dunque determinato - da piccoli tranelli, vanità personali, trucchi invisibili. Una serie di vizi che, almeno quelli, non avevano appartenuto alla storia, rigida ma composta, del Pci e si iniziarono a manifestare proprio in quelle ore, anticipando una trasfigurazione, quasi antropologica, che avrebbe segnato la vita dei partiti filiati dal Pci: il Pds, i Ds e infine il Pd. La sera del 3 febbraio il primo ad accorgersi che qualcosa non va è Luciano Barca, che pure era stato uno dei nemici della svolta: il vecchio dirigente del Pci si accorge che nelle hall degli alberghi ci sono troppe valigie: gli ricordarono quelle lasciate dai parlamentari nei guardaroba delle Camere poco prima dell’ultima votazione, quella che prelude al ritorno a casa. Scrive Barca nel suo Cronache dall’interno del vertice del Pci (Rubettino, 2005): «Torno in presidenza, espongo i miei timori per la tenuta fisica del congresso» e «poiché Occhetto è andato a dormire, mi rivolgo a D’Alema, che non mi crede, ma almeno manda a chiamare il segretario dell’Emilia...». Barca consiglia di convocare il Consiglio nazionale nella notte ed eleggere subito il nuovo segretario perché l’indomani rischia di non esserci il numero legale. Ed è eloquente la risposta di D’Alema: «Occhetto non vuole essere eletto nella confusione della notte senza giornalisti e senza televisioni». Primo comunista col senso dello spettacolo, Occhetto vuole le telecamere e i suoi nemici si muovono di conseguenza. Nella notte si deve eleggere il «parlamentino» e l’affresco di Claudio Petruccioli nel suo Rendi conto (Il Saggiatore, 2001) è eloquente: «Scorro la lista del nuovo Consiglio nazionale e mi rendo conto che ci sono più nomi di quelli stabiliti». E il motivo è sbalorditivo per un partito che è ancora comunista nelle vene: i rappresentanti delle correnti, d’accordo tra loro e senza avvertire nessuno, hanno «immesso altri nomi, dettandoli direttamente all’operatore del computer». Un imbroglio che, perquanto scoperto, sarà momentaneamente sanato e più tardi replicato con esiti grotteschi: prima di salire sul palco, a Petruccioli (che aveva la regia del congresso) viene consegnato un elenco «definitivo» che però, a sua insaputa, verrà nuovamente manomesso nei minuti successivi. Un imbroglio. «Legalizzato» dalle nascenti correnti, che negli anni successivi sarebbero diventate strutture portanti dei nuovi partiti nati dalle costole del Pds. Sulla scia di quella notte così travagliata, dopo qualche giorno i massimi dirigenti del partito vanno a parlare con Occhetto, rifugiato a Capalbio, per convincerlo ad accettare la leadership e alla fine di quell’incontro, tornando a Roma in macchina, Massimo D’Alema (secondo quanto raccontato senza ipocrisie da Claudio Velardi a Luca Telese nel suo Qualcuno era comunista ) esporrà un piano hard: «E’ morto, il papero è morto! Io adesso vado lì, faccio un bel discorso, lo rimetto in sella e gli do il colpo di grazia». Commenterà Velardi: «D’Alema voleva portare a consunzione Occhetto, cancellarlo per restare l’unica alternativa. In questo un inarrivabile professionista», secondo un modello «che ripeterà con Prodi e con Veltroni». Iginio Ariemma, ultimo portavoce del Pci e primo del Pds, autore di un bel libro su quegli anni, La casa brucia : «La mancata elezione di Occhetto fu il preannuncio di vizi che si sarebbero dilatati nel corso degli anni successivi: qualcuno voleva dare un colpo a Occhetto che uscì da Rimini come un’anatra zoppa e non si creò quel gruppo dirigente aperto che sarebbe servito per far decollare un moderno partito della sinistra».