Andrea Scanzi, La Stampa 4/2/2011, 4 febbraio 2011
LE VOCI DEI PADRI CHE RENDONO FAMOSI I FIGLI
Non ci sono più, eppure mai come adesso sono stati cantati. Pierangelo Bertoli, Fabrizio De Andrè, Ivan Graziani. I due cantautori più sottovalutati, o troppo presto dimenticati, della storia italiana. E, nel mezzo, quello più santificato. Molto oltre il suo desiderio. Alberto, Cristiano, Filippo: sono i nomi dei figli. Fanno la stessa professione dei padri e hanno molte cose in comune. La difficoltà ad emergere. Il talento. E l’esigenza, molto cercata e un po’ subita, di riverberare il repertorio di chi li ha preceduti.
Per mantenerne vivo il ricordo. Per cantarli meglio di chiunque altro, beneficiando di affinità cromosomiche che li rendono incredibilmente simili ai papà. Per lenire il dolore. Per alimentare la nostalgia. E perché i figli d’arte, alla lunga, il cognome non possono nasconderlo.
Sono tutti in giro per l’Italia, da due anni o giù di lì, con concerti la cui scaletta è fatta soprattutto - quando non solamente - dalle canzoni del genitore illustre. Eppure nessuno di loro viene dal cantautorato. Cristiano aveva i Tempi Duri, Filippo i Carnera, Alberto gli S.L.A.M. The Door. Gruppi rock, lodevoli (soprattutto i secondi) ma dal fiato corto. Troppo bravi, troppo di nicchia o entrambe le cose. Vai a sapere. E così, chi a trent’anni e chi a quasi cinquanta, ha attuato una modernizzazione ad evergreeen di famiglia con cui sono cresciuti non soltanto loro, ma intere generazioni.
De Andrè canta De Andrè,Volume 1 e 2, ha riempito i Palasport. Alberto ha ridato vita alla carta d’identità del padre, A Muso Duro , vincendo il Premio Lunezia. Già che c’era, ha cantato Le cose cambiano , scritta da Luciano Ligabue pensando a Bertoli, che del rocker di Correggio fu scopritore 23 anni fa. E Filippo canta Ivan Graziani, appena uscito, non è che testimonianza parziale di un tour ( Viaggi e intemperie ) bravo a dimostrare quanto fosse eclettico il repertorio dell’autore di Pigro. Del progetto fa parte anche il primogrenito Tommaso, che suonò la batteria nell’ultimo tour (1996) di Graziani. Proprio come Cristiano ha suonato ( p r a t i c a m e n t e ogni strumento esistente )negli ultimi tour di Fabrizio De André. Tutto bello o così sembrerebbe. Alta è la resa qualitativa e lodevole il tentativo di mantenere vigile quel nervo atavicamente scoperto che è la memoria storica. Nessuno canta bene Se ti tagliassero a pezzetti come Cristiano. Nessuno esalta meglio di Alberto le parole colme di rabbia e passione di Pierangelo. E nessuno eleva Gabriele D’Annunzio e la Signora Bionda dei Ciliegi come Filippo. Se nostalgia deve essere, che coltivi almeno il miraggio di una utopica eternità: che insegua una ispirata continuità dinastica.
Al tempo stesso, ci sono due rovesci della medaglia. Se le canzoni che più emozionano sono vecchie di vent’anni e più, quelle nuove non stanno centrando il bersaglio: o il ricambio generazionale non c’è stato, o se ne sono accorti in pochi. Al tempo stesso, mette malinconia constatare come artisti di talento debbano puntualmente rinunciare alla loro originalità per ricevere attenzioni e onorificenze.
Alcuni ne soffrono, altri no. Alberto Bertoli, per esorcizzare la sindrome del presunto raccomandato, ha apposto addirittura il marchio «figlio d’arte» nella copertina del cd. «Un’idea del grafico, non mia. Però è vero che non ho nessun problema, anche perché suono tutt’altra musica. Io faccio rock». Dal canto suo, il figlio di Faber ha più volte ricordato come rimettere in circolo le canzoni del padre sia una buona medicina. Ricordando poi che vivere con lui non fosse facile.
La parabola di Cristiano De André, che se all’anagrafe facesse «Rossi» sarebbe uno dei musicisti più celebrati, è la meno bucolica, perché la ripartenza ha dovuto coincidere con la celebrazione pubblica di una delle concause delle sue cicatrici. Un contrappasso - e un baratto - brutali: la cover catartica paterna in cambio della rinascita. Rinascita che non lo salva dai ciclici spifferi del gossip: la relazione con Alba Parietti, la figlia (pardon: «la nipote di nonno Fabrizio») che va all’ Isola dei Famosi . Quasi che l’attenzione dovesse sempre essere spostata altrove: a ciò che lo riguarda di rimbalzo o comunque non artisticamente.
Tutti dicono che «non è per sempre», che la rilettura dei padri finirà e torneranno ai rispettivi percorsi solisti: che si emanciperanno da quei cognomi. Forse ci riusciranno, certo ci proveranno. Difficilmente però la fama sarà proporzionale alle qualità. E forse, per paradosso sadico o malcostume italico, le loro carriere somiglieranno a usufrutti intonati. Vite appaltate. Ugole buone per le madeleine di un pubblico perennemente orfano. Come le voci che sta ascoltando.