Giancarlo De Cataldo, l‘Unità 1/2/2011, 1 febbraio 2011
CORSIVI
Scrivere storie sta diventando sempre più difficile. Non perché la realtà non offra spunti: semmai, il problema è proprio quello. Di spunti ce ne sono fin troppi. Il fatto è che in ogni storia che si rispetti c’è sempre bisogno di un protagonista e di un antagonista. A volte succede che il protagonista sia il cattivo (esempio: Riccardo III di Shakespeare) e l’antagonista il buono. E giù polemiche: non puoi raccontare Scarface o Vallanzasca perché dai un cattivo esempio alla gioventù, quel racconto alimenta il mito della Mafia, quell’altro è uno “spottone” pro-camorra, e via dicendo. Se ne può discutere, ma il fatto è che le cose non cambiano, o cambiano poco, quando la storia segue lo schema tradizionale.
L’eroe è il buono, e siamo d’accordo. Ma a fare il cattivo non ci sta nessuno. Se è un nero, metti, il film è razzista. Se è terrone, offende il Sud. Se parla con l’accento lombardo protestano nelle valli. Se è un religioso, offende la morale. Se è il cattivo tenente, insorgono i poliziotti. E via dicendo. E siccome produttori, network e (troppo spesso) anche gli autori vogliono a tutti i costi evitare le polemiche, c’è la tendenza a realizzare prodotti neutri, dominati dall’ansia di non disturbare la sensibilità di nessuno. Sarà dunque vero che fantasy, saghe stellari, supereroi, vampiri, comici e galassie lontane imperversano perché siamo in tempi di crisi e la gente preferisce lo svago all’inquietudine, ma non sottovaluterei l’aspetto politico della questione. Le streghe, gli orchi e l’Imperatore Nero davvero non fanno male a nessuno, e rendono tantissimo. Come disse una volta uno sceneggiatore di Hollywood, «è maledettamente difficile trovare un cattivo che metta tutti d’accordo, a parte i nazisti, lo scienziato pazzo, e,
ovviamente, i fumatori».