Chiara Basso, Sette n.4 27/1/2011, 27 gennaio 2011
MADE IN USA
Vista da fuori la “Cupid’s House” sembra una casetta di mattoni uguale a tante altre disseminate nel quartiere di Flushing, nel Queens di New York. Nemmeno un’insegna o una targa. Qui, a dispetto del nome più adatto a un motel, ogni anno arrivano decine di donne cinesi tra il quinto e il sesto mese di gravidanza con un sogno ben preciso da realizzare: un figlio born in the Usa. La “Cupid’s House”, gestita da Vincent Chong, 28 anni, e dalla moglie Nancy Chen, 27, è solo uno dei tanti centri tra Stati Uniti e Cina che aiutano le partorienti nella realizzazione di questo progetto.
Ma cosa spinge queste donne ad attraversare l’oceano in gravidanza? «Alcune vogliono semplicemente avere più di un bambino e nel nostro Paese non è possibile a causa della legge del figlio unico» spiega Chong, «ma la maggior parte vuole assicurare al nascituro la possibilità di tornare negli Stati Uniti dove potrà studiare e lavorare senza problemi». Con un passaporto a stelle e strisce in perfetta regola potrà infatti accedere alle università più prestigiose e successivamente alle carriere migliori al pari dei coetanei americani. Potrà inoltre viaggiare senza problemi nel resto del mondo, a parte Cuba. L’American dream diventa realtà grazie al 14esimo emendamento della Costituzione Usa che garantisce automaticamente la cittadinanza americana a chiunque sia nato negli Stati Uniti. Ed è rea-lizzabile con l’aiuto di agenzie come quella di Chong, sempre più numerose, che vanno incontro alla domanda, in forte aumento, di chi desidera partorire negli States.
LOS ANGELES, LA PIÙ “CONVENIENTE”
Il business è partito circa 20 anni fa da Taiwan e si è poi esteso a Cina, Hong Kong e Corea del Sud. Per lo più le mete sono New York, Chicago, Boston, ma soprattutto Los Angeles, dove l’affitto mensile delle stanze, che ospitano le pazienti per almeno quattro mesi, è più conveniente. I prezzi della “Cupid’s House” variano dai 21mila ai 32mila dollari e comprendono l’alloggio nella casetta, l’assistenza medica, il parto in ospedale con ginecologa cinese e, irrinunciabile nella cultura cinese, il mese post-parto, chiamato yuezi, in cui alla madre vengono garantiti riposo assoluto e una dieta particolare. Alcune agenzie arrivano addirittura a offrire pacchetti da 15mila dollari. Non molto se si considera che un cinese adulto che decide di entrare senza visto negli Stati Uniti deve pagare 70mila dollari al racket dell’immigrazione illegale. È però compito della futura madre pagarsi il volo e il visto, quest’ultimo da procurarsi quando la gravidanza non è molto evidente, meglio prima del sesto mese, perché, pur non essendo illegale, è più difficile per una donna incinta ottenerlo.
Secondo Chong sarebbero addirittura trentamila le cinesi che ogni anno entrano in Usa con questo scopo. Ma secondo Yanzhong Huang, professore alla Seton Hall University, New Jersey, esperto in relazioni Usa-Cina e direttore del sito Global Health Governance, è impossibile quantificare il fenomeno. «È al limite della legalità: anche se è legale partorire negli Stati Uniti, spesso ciò avviene quando ormai il visto turistico da tre mesi delle madri è scaduto e la cosa non è comunque vista di buon occhio dalle autorità americane».
Non a caso infatti il 14esimo emendamento che garantisce lo jus soli è da anni preso di mira, soprattutto dai repubblicani che vorrebbero rivederlo se non addirittura abolirlo. L’autore della famigerata legge anti-immigrazione dell’Arizona, Russell Pearce, è tra coloro che hanno dichiarato guerra a questa norma, che risale al 1868 e che rientrava nei cosiddetti emendamenti della Ricostruzione approvati dopo la guerra di secessione al fine di garantire i diritti civili agli ex schiavi. Con un Congresso a maggioranza repubblicana corre veramente il rischio di essere rivisto. Il target principale del senatore sono però le madri ispaniche, soprattutto messicane, accusate di scavalcare clandestinamente i confini per partorire sul suolo americano i loro anchor babies, i bambini-àncora, nella speranza di poter ottenere la cittadinanza Usa anche per sé e per il resto della famiglia. Di fatto, però, solo quando avranno raggiunto i 21 anni i figli potranno richiedere il congiungimento.
Le cinesi danno meno nell’occhio. La loro migrazione è più discreta e avviene comunque nella legalità, anche se molto al limite. Inoltre, il loro scopo non è quello di trasferirsi in America con tutta la famiglia. Sono per lo più benestanti, altrimenti non potrebbero affrontare tutte le spese, soprattutto quelle per crescere un figlio in Cina senza cittadinanza cinese e quindi privo di ogni facilitazione statale. Come la maggior parte del popolo cinese, queste “madri viaggiatrici” subiscono la fascinazione per l’Occidente. Non è un caso infatti che il sito della “Cupid’s House” - usanybaby.com - sia scritto tutto in cinese ma mostri in homepage donne occidentali incinte. Anche all’interno della casetta di mattoni, le pareti colorate e le stanze piene di pupazzi per i bambini hanno scritte in inglese che le degenti forse non comprenderanno mai. Ma i loro figli sì, un giorno.