Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 27 Giovedì calendario

IL MITO DI ATLANTIA

La notizia dell’adozione del Telepass di Atlantia da parte del governo francese ha avuto un risalto inferiore a quello che avrebbe meritato. L’affare invece è importante non solo per le dimensioni economiche, rese ufficialmente note, ma anche per la linea di politica industriale che sottende e sulla quale si è detto di meno. La commessa vale 2 miliardi di euro in 11 anni e mezzo: una parte, 6-700 milioni, viene incassata subito a fronte della costruzione di una struttura di monitoraggio del traffico dei mezzi pesanti lungo la rete stradale transalpina (15 mila chilometri); il resto deriva dal compenso per l’esazione di una tassa ecologica introdotta dal ministero dell’Ambiente e dei Trasporti e dalla manutenzione dell’apparato.
Nove anni fa, la concessionaria italiana, che allora si chiamava Autostrade ma era già controllata dai Benetton, aveva fatto lo stesso lavoro in Austria. In prospettiva l’imposizione di pedaggi alla circolazione, tipica dei Paesi mediterranei, potrebbe diffondersi anche nell’Europa centro-settentrionale. L’impennata dei debiti pubblici, infatti, renderà sempre più difficile finanziare l’uso gratuito delle infrastrutture e il loro sviluppo con la fiscalità generale.
In un’intervista al Sole 24 Ore, l’amministratore delegato, Giovanni Castellucci, ha messo in rilievo l’importanza della tecnologia e dell’esperienza di Atlantia nell’aver ragione, in terra di Francia, di due competitori francesi, e per di più legati al governo di Parigi, come France Telecom e la concessionaria autostradale Sanef. Si può aggiungere che l’impresa italiana ha messo a profitto il suo know how e non l’ha ceduto come, invece, fanno altre imprese che, in cambio di un guadagno una tantum, si privano di un vantaggio competitivo.
Naturalmente, le concessionarie autostradali hanno il vantaggio di lavorare in regime di monopolio naturale, sia pur regolato. Ma questo successo resta un successo italiano anche perché, nel 2006, non andò in porto l’incorporazione di Autostrade in Abertis. Allora il gruppo spagnolo sembrava il futuro. Oggi da predatore sta diventando preda di un fondo di private equity, il Cvc, e dunque si avvia a essere smembrato. Cinque anni fa le autostrade sembravano un affare per grandi imprese di costruzioni, sostenute senza limiti da banche disinibite. La crisi riporta tutti con i piedi per terra inducendo a usare la leva della tecnologia e non quella dei debiti.