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 2011  febbraio 03 Giovedì calendario

REPUBBLICANI USA, IL DUELLO DEI DUE MORMONI —

L’America si preparava, per la caccia all’anti-Obama, a una sfida tra candidati della destra conservatrice, influenzata dai candidati più radicali e, magari, giocata alla fine attorno all’incognita Sarah Palin. Ma, a sorpresa, la corsa per la «nomination» repubblicana per le presidenziali del 2012 sembra imboccare un’altra strada: quella del testa a testa tra due mormoni, moderati, telegenici, con un passato imprenditoriale.
Se, infatti, Mitt Romney— l’ex governatore del Massachusetts battuto nel 2008 da John McCain— è ormai a un passo dall’annuncio della sua candidatura, confortato dai sondaggi che per ora lo danno in testa nelle preferenze e anche dal fatto di aver accumulato il fondo elettorale più consistente, la vera novità delle ultime ore è quella di Jon Huntsman. L’ex governatore repubblicano dello Utah era stato scelto due anni fa da Obama come ambasciatore Usa a Pechino non solo per la sua esperienza diplomatica e l’ottima conoscenza del mandarino, la lingua parlata nella capitale asiatica, ma anche perché i suoi strateghi elettorali lo avevano indicato come il candidato repubblicano potenzialmente più pericoloso per il presidente in vista della campagna per la rielezione nel 2012.
In questo modo il leader democratico riteneva di averlo eliminato dalla corsa. Quando, qualche settimana fa, erano cominciate a circolare voci che davano Huntsman pronto a lasciare l’amministrazione Obama per tentare la «roulette» delle primarie, le reazioni scettiche erano state molte: come può raccogliere i voti dei conservatori un candidato che ha lavorato con l’ «odiato presidente socialista e antiamericano?» . Dove può arrivare un candidato di destra favorevole alle unioni gay civili, a ridurre le emissioni di «gas serra» con q u e l me c c a n i s m o d i «cap&trade» che è stato demonizzato dai repubblicani, e che, per di più, appartiene a una minoranza religiosa (quella dei mormoni) guardata con sospetto dai movimenti cristiani?
Tra i pochi a prendere sul serio la voce era stato proprio Obama che, durante il recente incontro a Washington col presidente cinese Hu Jintao, aveva provveduto a seppellirla in mondovisione con una battuta sarcastica: «C’è qui il nostro ambasciatore a Pechino. Qualcuno dice che si candiderà contro di me alle presidenziali. Il fatto di aver lavorato con buoni risultati nella mia amministrazione certamente è un eccellente biglietto da visita per la partecipazione a qualunque primaria democratica» .
E invece il «manchurian candidate» , com’è stato già soprannominato dalla stampa Usa, non si è fatto impressionare e ha deciso di andare per la sua strada. Fonti della Casa Bianca hanno confermato ufficiosamente che il 31 gennaio Huntsman ha consegnato una lettera nella quale annuncia le sue dimissioni da ambasciatore a partire dall’ultimo giorno di marzo. E vari suoi amici rivelano che la sua macchina elettorale è già in piena attività: sondaggisti, raccolta di fondi e uno stratega elettorale, John Weaver, arrivato dal team di Mc-Cain del 2008.
Huntsman, dicono i suoi sostenitori, non piacerà agli integralisti, ma ha un’eccellente immagine, ha governato bene lo Utah, ha affrontato con buoni risultati la crisi del sistema sanitario ed è l’unico dei candidati in lizza con un’esperienza internazionale. Può spuntarla perché le elezioni si vincono al centro, non puntando sui candidati radicali. È lo stesso calcolo fatto da Romney che, rispetto ad Huntsman, ha il vantaggio della maggiore notorietà e lo svantaggio di essere un «cavallo di ritorno» , già sconfitto una volta. Romney ha anche molti più soldi, ma Huntsman è l’erede della fortuna miliardaria della sua famiglia, una grande dinastia dell’industria chimica.
Ma il calendario delle primarie, che parte dallo Iowa degli arciconservatori e, dopo il New Hampshire, vede un’altra sfida — quella del South Carolina — davanti a un elettorato molto spostato a destra, fa prevedere un inizio in salita tanto per Romney quanto per Huntsman. È il fattore sul quale contano gli altri candidati conservatori che si stanno preparando a scendere in campo, da Mike Huckabee (dato dai primi sondaggi in seconda posizione dietro Romney) all’ex speaker della Camera Newt Gingrich, sempre tentato di tornare alla politica abbandonata alcuni anni fa. La Palin scalpita, ma i sondaggi la danno molto indietro, addirittura dietro Michele Bachmann, l’altra portabandiera dei «Tea Party» .
C’è poi una pattuglia di governatori in buona posizione: quello del Minnesota, Tim Pawlenty, che punta molto sulla fama di buon amministratore che ha risanato i conti del suo Stato, e Mitch Daniels, dell’Indiana. Quest’ultimo piace molto ai moderati, ma ha una tendenza al compromesso coi democratici e coi sindacati e a essere pragmatico sull’aumento delle tasse che irrita la base repubblicana.
Ai blocchi di partenza anche il senatore del South Dakota, John Thune, il governatore del Mississippi, Haley Barbour, e quello del New Jersey, Chris Christie. Tutti con qualche buona carta da giocare e qualche «handicap» . Sconosciuti al grande pubblico. Ma soprattutto, nella settimana in cui celebra il centesimo anniversario della nascita di Ronald Reagan, il popolo repubblicano si sente sempre più orfano di un trascinatore, di un leader che lo sappia ispirare.
Massimo Gaggi