The Wall Street Journal Europe (MF) 3/1/2011, 3 gennaio 2011
ANCHE LA CINA RISCHIA DI ESSERE CONTAGIATA DALLA FEBBRE DEL NILO
Con lo scoppio dei disordini del Cairo, molti Soloni dei media si sono messi a indagare sui motivi per cui il regime autoritario egiziano è finito sotto attacco mentre il potere del Partito comunista cinese rimane saldo. Secondo la linea di pensiero di questi esperti, con Hosni Mubarak l’economia egiziana sarebbe rimasta stagnante e le élite rapaci si sarebbero impossessate di una fetta gigantesca del reddito nazionale, al contrario di Pechino, che avrebbe invece offerto ai propri cittadini opportunità e prosperità. La realtà è più complessa, come dimostra un rapido confronto tra i due Paesi. È vero che l’Egitto è cresciuto a un tasso che è la metà di quello della Cina, ma la sua economia non è stata quasi mai stagnante e le riforme degli ultimi decenni stanno ancora dando i loro frutti. Con un pil pro capite intorno ai 5.900 dollari, i cittadini egiziani hanno un tenore di vita migliore di quello dei cinesi, che guadagnano un terzo in meno. La Cina, inoltre, mostra una disuguaglianza tra i redditi ben più forte di quella dell’Egitto. I dati economici più rimarchevoli sono il tasso di disoccupazione e l’alta inflazione dell’Egitto, la cui crescita non è stata sufficientemente rapida da riuscire a garantire posti di lavoro a una popolazione giovane e in aumento. Nel frattempo, negli ultimi due anni l’inflazione ha superato ufficialmente il 10% e il prezzo dei generi alimentari è aumentato a ritmi ancora più sostenuti. Il livello di insoddisfazione nei confronti dei regimi autoritari è altalenante, ma, come ha dimostrato anche la Cina alla fine degli anni 80, i cittadini sono pronti a scendere in piazza quando vedono il proprio tenore di vita eroso da livelli elevati di inflazione. In quest’ottica, la presunta stabilità della Cina merita un’analisi più approfondita.
La crescita cinese è rallentata e l’economia dipende ancora dalle industrie per l’esportazione, che impiegano lavoratori poco qualificati. La disoccupazione tra la popolazione in possesso di laurea è tornata a rappresentare un problema serio e il rinnovato interesse nel promuovere grandi imprese di proprietà dello Stato ha avvantaggiato la classe dirigente del Partito comunista, soffocando le opportunità per l’imprenditoria privata. Come ha recentemente scritto Diana Choyleva sul Wall Street Journal, il vero tasso di inflazione della Cina sta per raggiungere la doppia cifra. Nessuno dovrebbe considerare la Cina immune dai disordini. Le stesse autorità cinesi hanno preso in seria considerazione il rischio di contagio. Sui siti di microblogging viene bloccato ogni commento contenente le parole «Cairo» ed «Egitto» e i quotidiani di Stato danno alle richieste di democrazia dei manifestanti ben poca risonanza. Quando si parla del Cairo e di Tunisi è soltanto per mettere le proteste sotto una luce negativa. Come il crollo del comunismo nell’Europa dell’Est e le rivoluzioni successive, gli avvenimenti del Medio Oriente avranno un effetto profondo sul pensiero di Pechino. Il Partito comunista sbandiera livelli di crescita record che lo legittimerebbero a governare, ma il vero segreto del suo presunto autoritarismo elastico è la capacità di cooptare e neutralizzare i gruppi di interesse emergenti. Questi suoi tentativi, però, diventeranno sempre più ardui. Anche se negli ultimi anni l’economia ha continuato a crescere, Pechino ha irrigidito il controllo sui media e ha intensificato gli incarceramenti dei dissidenti. La società di animazione cinese Hutoon ha prodotto di recente un video virale in cui si vede la folla, rappresentata da conigli, ribellarsi inferocita dopo una serie di scandali e uccidere i vertici del Partito. Il Partito continuerà a sostenere che la crescita economica sta risolvendo i problemi sociali causati da un governo monopartitico ma, se l’inflazione dovesse salire ancora, la storia insegna che la stabilità della Cina potrebbe rivelarsi un miraggio.