Eleonora Martini, il manifesto 3/2/2011, 3 febbraio 2011
CASORIA CHIAMA MERKEL
«Gentile Cancelliere Angela Merkel, Le invio una richiesta che è frutto della grande difficoltà di fare cultura in Italia. Una difficoltà che non è solo di carattere economico e tecnico ma soprattutto di carattere sociale. Ritengo che in una visione europea, della quale Lei è certamente il più importante testimone, il suo Paese potrebbe "adottare" il nostro Museo per non abbandonare a se stesso un immenso patrimonio culturale». Artista internazionale, scultore e fotografo, Antonio Manfredi, classe 1961, gira il mondo alla ricerca di giovani talenti. E aveva un sogno: quello di far conoscere nel mondo la sua città, Casoria, non solo per la camorra, i rifiuti, e il degrado sociale e culturale. Tra i cumuli di monnezza e l’Ikea, nel nulla dell’hinterland napoletano, a metà strada tra due comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, ha raccolto nel suo Cam (Casoria Contemporary Art Museum) più di mille opere provenienti da tutto il mondo e adocchiate da musei d’alto calibro come il Guggenheim di New York. Ma dopo cinque anni ha rimesso quel sogno nel cassetto e, disperato, ha chiesto «asilo politico-culturale» a «Frau Bundeskanzlerin».
L’accuseranno di anti patriottismo.
L’arte non ha patria. Semmai è antipatriottico lasciare marcire l’inestimabile tesoro artistico, archeologico e culturale italiano. Ho sopportato di tutto, anche la vergogna di essere preso in giro quando vai all’estero per il modo di vivere dei tuoi governanti che giocano mentre tu cerchi di costruire qualcosa di serio in un territorio impossibile. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata Pompei. Ho pensato: se l’Italia non riesce a salvaguardare Pompei, figuriamoci che speranza può avere un museo di provincia che non è tutelato neppure dall’amministrazione locale. Per questo l’unica soluzione mi è sembrata quella di chiedere aiuto all’unico Paese europeo che non ha imposto tagli alla cultura e all’arte, un Paese che ha rispetto per la cosa pubblica. Io credo ancora nell’Italia ma è che l’Italia non ha più la forza di fare la rivoluzione.
Siamo abituati a conoscere Casoria solo attraverso i suoi simboli peggiori, di degrado e bruttura sociale e culturale: la camorra, i rifiuti, Noemi... Ma come le è venuto in mente di aprire un museo proprio lì?
Allora, nel 2005, non vedevo altro modo per dare una mano alla mia città: sfruttare l’arte e la cultura di cui mi occupo a livello internazionale per poter dare uno slancio all’hinterland napoletano affinché anche i giovani del territorio, avessero un luogo bello piuttosto che le solite brutture. All’epoca trovai un’amministrazione che mi invogliò a fare il tentativo, promettendo aiuti, ma purtroppo dopo tre mesi venne sciolta per infiltrazioni camorristiche. E io mi ritrovai da solo e non ebbi il coraggio di abbandonare tutto e tutti a se stessi.
Ieri Giorgio Napolitano ha lanciato un appello ai giovani perché ricreino quel clima virtuoso e proficuo che fu dell’era costituente, perché si impegnino fortemente a costruire condizioni migliori per il paese. Lei, che ha tentato di coinvolgere i giovani, spesso sconfitto dalle condizioni avverse, cose risponde al presidente?
In cinque anni ho inviato lettere a tutte le istituzioni locali e nazionali; l’unico che mi ha risposto è stato proprio il presidente della Repubblica che ci ha lodato per il lavoro che noi facciamo in una regione così difficile. Un gesto importante per noi che viviamo l’isolamento come il problema fondamentale, molto peggiore della mancanza di finanziamenti. Soprattutto perché il Cam non si limita a collezionare opere d’arte ma interagisce con il territorio attraverso mostre sociali, senza le quali non vedrei il motivo per cui dovrebbe esistere un museo nell’hinterland napoletano. Per noi rimanere soli quindi significa diventare facile preda di chi vuole che nulla migliori, qui. Al presidente Napolitano, dunque, direi che il problema non sono i giovani ma l’assoluta mancanza di presenza dello Stato in questi territori. Non parlo delle forze dell’ordine che cercano di fare quel che possono, parlo dello Stato in tutte le sue altre forme. Qui sembra di vivere nel terzo mondo, e ci si sente completamente abbandonati.
Ma riesce a coinvolgere qualche giovane locale?
A volte sì, ma succede anche di perdere giovani collaboratori perché non possiamo pagarli. E purtroppo spesso si perdono per strada, come è successo con mio enorme rammarico ad un ragazzo che poi è morto per un’overdose. Ma tutto il mio staff è formato da giovani validissimi, collaboratori che prestano la loro opera a livello del tutto volontario perché senza finanziamenti non posso pagarli. Tutti per vivere fanno un altro lavoro ma tutti fanno uno sforzo per tentare di mantenere qualcosa che non sia la solita bruttura, il solito malessere che esiste sul territorio.
La bellezza oltre Noemi, insimma...
Lei ci scherza, ma non sa quanto mi fa male scoprire ogni volta che vado all’estero, perfino in Ghana dove sono stato un mese fa, che conoscono Casoria per via di Noemi e non per il museo.
Cosa ha collezionato nel suo museo?
Il Cam sorge in uno spazio di 3 mila metri quadri che prima era il deposito della spazzatura di tutte le scuole di Casoria. Fin dall’inizio io coinvolsi un centinaio di giovani artisti amici conosciuti in tutto il mondo. Oggi ci sono più di mille opere di artisti provenienti da 80 nazioni diverse, dal Kazakistan all’Oceania, tutte donate gratuitamente, per una raccolta di grande respiro internazionale. Abbiamo collezioni di artisti cinesi e africani, tra le maggiori a livello europeo. Ma nel Cam ho voluto anche realizzare ciò che mancava a Napoli e alla Campania, con una collezione straordinaria di 60 artisti storici napoletani dal secondo dopo guerra a oggi, molto apprezzata da studiosi ed esperti.
Come fa senza finanziamenti?
C’è ancora la gratuità, ed è mossa dalla passione e dall’amore per l’arte. Gli artisti che io seleziono e a cui spiego cosa sto facendo e soprattutto dove lo sto facendo, hanno creduto in questo progetto.
Conta la sua ambizione di cambiare il rapporto con il territorio?
Certamente, capiscono il mio assillo di poter dare un contributo all’hinterland napoletano. Il problema però è che sei solo quando, in un luogo del genere, organizzi per esempio una mostra come «CAMorra», invitando venti artisti napoletani a sviluppare il loro pensiero sul tema, e già nella stessa sera cominci a ricevere minacce, atti di ostilità, "offerte" di difesa dietro pagamento, messaggi inviati attraverso terzi, ecc, perché la camorra non sempre usa le armi... beh, in questa situazione capisce che non tutti resistono.
Se alla camorra poi si aggiunge anche l’ignoranza...
Quando organizzammo una mostra di cento artisti africani, vicino al cancello del museo una mattina trovammo un bambolotto nero di grandi dimensioni impiccato e crocefisso. Un atto razzista che fece molto scalpore perché eravamo nel periodo dei fatti di Rosarno e Villa Literno. Ma praticamente a ogni mostra che si occupa del sociale, accade qualcosa di simile.
La sua lettera alla cancelliera Merkel ha suscitato qualche reazione? L’ha chiamata qualche politico italiano, qualche amministratore, qualcuno dalle istituzioni?
Zero. Nessuna voce. Non mi stupisco, però: pensi che dopo la minaccia per la mostra di artisti africani, di cui parlarono tutti i giornali, non ricevetti alcuna telefonata di solidarietà. Ma anche all’inaugurazione a cui parteciparono una decina di artisti africani, l’ambasciatore e alcuni esponenti politici africani, mi ritrovai da solo a fare gli onori di casa, senza neppure un amministratore locale.
E allora, non ci resta che riporre le nostre speranze nella Germania.