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 2011  febbraio 03 Giovedì calendario

«HO CONQUISTATO UN OTTOMILA A MENO 50 GRADI»

Il tempo di un abbraccio a tre, poi la bufera consiglia una rapida discesa. Quasi se un’impresa fosse sminuita dal cielo terso, dal sole. Nubi e nevischio in una data storica: i primi uomini a raggiungere d’inverno la vetta di un Ottomila nel Karakorum. Il bergamasco Simone Moro, il kazako Denis Urubko e lo statunitense Cory Richards, alpinista-fotografo. La cima è quella del Gasherbrum II, 8035 metri, al confine tra Pakistan e Cina. Moro posa il piede sul ghiaccio sommitale alle 11,38. La temperatura sfiora i meno 50. Nella sua Bergamo sono le 7,38 e il termometro è a più 5. Reinhold

Messner, il primo ad aver raggiunto tutti i 14 Ottomila: «Grande impresa. Moro ha dimostrato di avere le idee chiare, di saper individuare i progetti e realizzarli».

Sono 9 gli Ottomila himalaiani raggiunti d’inverno e due portano la firma di Moro: nel 2005 sul Shisha Pangma con il polacco Piotr Morawski e nel 2009 sul Makalu con Urubko. Ora il record nel Karakorum, sua terza vetta invernale. Gioia incontenibile: «Qui è da 25 anni che i migliori alpinisti al mondo tentano e noi ce l’abbiamo fatta. La bufera ci ha messo in difficoltà». Moro parla al telefono satellitare con Andrea Bianchi di «mountainblog». È notte al campo «3», quasi a 6900 metri, sotto il triangolo di roccia scura che si affila come freccia fino alla vetta in un mare candido tormentato da crepacci. Moro intervalla parole a colpi di tosse. Rassicura: «Stiamo bene, anche se stanchi. Domani scendiamo al campo base, ci vorrà tutta la giornata». Tra nubi e vento. Così indica il meteorologo Karl Gabl in contatto con la spedizione da Innsbruck. «Abbiamo seguito le sue indicazioni perfette», ricorda Moro. Gabl aveva annunciato una «finestra» di beltempo il 1˚ e il 2 febbraio. Gli alpinisti sono partiti domenica dal campo «1», ai piedi dell’Ice fall, lingua glaciale irta di seracchi. Hanno seguito la cresta del ghiacciaio a ridosso della costola rocciosa. Moro, Urubko e Richards da metà gennaio sono saliti e scesi di lì. Soli, stile alpino, nessun portatore. «E sprofondavamo a volte fino a metà busto», racconta Moro. Fatica e freddo, tra i meno 35 e i meno 46.

Solo due campi sul ripido ghiacciaio. Alle 3 di ieri mattina gli alpinisti lasciano la tenda a 6900 metri e partono per la cima. Moro: «Per fare gli ultimi 200 metri ci abbiamo messo 2 ore». Ha trovato il compagno ideale, Urubko, e una nuova frontiera dell’alpinismo: le salite invernali sui «giganti della Terra». Ne è convinto Agostino Da Polenza, himalaista ora alla guida del Comitato Everest-K2-Cnr di Bergamo. Dice: «Un salto in avanti anche culturale. Alpinismo leggero e di grande efficacia. Moro e i suoi compagni sono tornati ai valori della montagna, li hanno sottratti alla commedia dell’himalaismo, alla sua marmellata di grandi salite mescolate ad altre. Moro ha ridato dignità all’alpinismo, togliendolo dalle dispute da pollaio».