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 2011  febbraio 03 Giovedì calendario

Mubarak scatena i cammelli in piazza: “Non ci spaventa” - Pure i cammelli e i cavalli compaiono sul campo di battaglia, accompagnando lo spettro di guerra civile che comincia ad aggirarsi per le vie del Cairo

Mubarak scatena i cammelli in piazza: “Non ci spaventa” - Pure i cammelli e i cavalli compaiono sul campo di battaglia, accompagnando lo spettro di guerra civile che comincia ad aggirarsi per le vie del Cairo. Difficile trovare un termine migliore, per definire il disperato tentativo dei sostenitori del presidente Mubarak di piegare la protesta. «È il cuore che ci porta» La manifestazione comincia verso le undici del mattino, quando un fiume di persone si incammina verso il palazzo delle televisioni. Scelta strategica mirata, per attirare subito l’attenzione dei media. Rafik Batany, un ragioniere che lavora per il governo, spiega che nessuno gli ha ordinato di mettersi in marcia: «E’ una decisione che mi ha dettato il cuore, dopo aver sentito il discorso del presidente Mubarak in televisione l’altra sera». Vicino a lui c’è persino un prete evangelico in clergyman, che aggiunge: «Capisco la protesta e le ragioni che voleva esprimere. Però Mubarak ha concesso tutto, ha promesso che non si candiderà alle prossime elezioni presidenziali e farà le riforme richieste. Perché questa gente rimane in piazza Tahrir? Cosa vogliono ancora?». «Hosni, non ci lasciare» In strada ci sono anche donne e bambini e gli slogan si ripetono spesso uguali: «Mubarak è un eroe, ha cacciato gli israeliani dal Sinai». «Mubarak è buono, vogliamo che resti». L’atmosfera però è pesante, il clima teso. Ahmed Manjy, un interprete delle forze armate, alza la voce come un attore di tragedia: «Mubarak, ti amiamo. Siamo qui per dirti che ci dispiace tutto quello che ti hanno fatto in questi giorni. Per trent’anni ci hai sfamati e curati». Ahmed però viene da Mansoura, la regione d’origine del presidente. Ha viaggiato due ore per arrivare in tempo alla manifestazione, e questo alimenta il sospetto che dietro alla sua scelta non ci sia stato solo il cuore. Lo scontro muro contro muro Verso mezzogiorno si sparge un ordine, perché la manifestazione pro Mubarak lascia di colpo la Corniche lungo il Nilo e si avvia verso Tahrir Square, la piazza della protesta che sta a poche centinaia di metri. Donne e bambini spariscono. Da Ramses Street e da tutte le strade laterali arrivano altre colonne, che si uniscono e puntano verso i posti di blocco dove finora i manifestanti dell’opposizione hanno controllato l’accesso alla piazza, temendo infiltrazioni della polizia segreta. I militari, in piedi sopra i carri armati, restano a guardare, quando cominciano i primi scontri verbali. I sostenitori del Presidente chiedono di entrare: «La piazza è di tutti, questa terra appartiene solo ad Allah». «Se vi vedesse - rispondono i ragazzi del servizio d’ordine - Allah vi punirebbe. State solo cercando di mettere gli egiziani uno contro l’altro». Le voci si alzano, le parole diventano insulti, i gesti spintoni. La folla, presa dalla paura, comincia a sbandare verso il Museo Egizio. Bisogna saltare il recinto metallico verde per non rischiare di essere schiacciati. Poi succede qualcosa che cambia tutto. Volano i primi pugni, seguono le sassate. I due gruppi si fronteggiano, rompendo i muretti per raccogliere pietre. Il cielo si riempie di polvere e i sassi cadono come la pioggia. Si apre uno spazio tra i due fronti e i militari ne approfittano per creare una barriera con i camion, ma è tutto inutile. La sassaiola continua sempre più fitta. Dal fondo della piazza arriva pure la carica di cammelli e cavalli, cavalcati da uomini armati di mazze con cui colpiscono i manifestanti. Dicono di essere i guidatori dei carretti che portano i visitatori alle Piramidi, esasperati dalla protesta che soffoca il turismo. La caccia ai provocatori Corriamo verso l’area di Tahrir che porta al ponte Qasr Nil, ancora controllato dalla protesta. La piazza ormai è un campo di battaglia, dove le due fazioni combattono per il controllo del territorio. Vediamo due sostenitori di Mubarak catturati dalla folla: rischiano il linciaggio, fino a quando la gente li consegna ai militari di guardia al perimetro. Ci spostiamo nei vicoli puzzolenti di urina che portano alla moschea Abd Al Rahmen, trasformata in ospedale da campo. Sembra di stare in prima linea. Uno dopo l’altro arrivano i feriti, portati a braccia. Grondano sangue. Mustafa Sabby ha la testa rotta, ma conserva la forza per gridare: «Mubarak è un killer. Pur di salvare la poltrona è pronto ad ammazzare tutti gli egiziani». Vediamo uscire dalla moschea due, tre, quattro uomini coperti di lividi. Hanno le mani legate dietro la schiena con corde di nylon: «Sono alcuni dei criminali che la polizia ha liberato nei giorni scorsi per attaccarci», spiega un ragazzo che dice che chiamarsi Hamza. «Abbiamo anche le prove che agenti in borghese della polizia segreta guidano la manifestazione pro Mubarak - continua Hamza - perché li abbiamo catturati. Avevano documenti d’identità del ministero dell’Interno». Pure un paio di cavalli sono stati fermati, e vengono scacciati a frustate. L’assedio continua Fuori dal vicolo della moschea, su Tahrir Street, c’è una scena da assedio. I sostenitori del presidente hanno circondato la piazza e puntano su tutti i varchi per conquistarla. Due catene umane di ragazzi si sono allineate davanti ai carri armati che bloccano l’accesso, per aspettarli. Sherif ha un largo cerotto sulla testa rigata dal sangue, ma grida: «Non abbiamo paura, resteremo fermi qui». Scappiamo verso il ponte Qasr Nil per aggirare il blocco e torniamo alle spalle della piazza, da dove parte la carica dei pro Mubarak. Volano le prime bottiglie molotov. I militari finalmente muovono un dito, per spegnere con gli idranti i fuochi che minacciano il Museo Egizio. I sostenitori del presidente sembrano pronti a sfondare le barricate dei manifestanti. Si sentono i primi spari di armi automatiche, ma i ragazzi non cedono. Quando arriva la sera i colpi aumentano, ma gli uomini di Mubarak non conquistano Tahrir. Il nuovo ministro dell’Interno, Wagdy, avverte: entro stanotte bisogna evacuare la piazza. Hussein Abdelghany, portavoce della protesta, risponde così: «Sperano di dividerci con la paura, però non ci muoveremo. Passeremo la notte a piazza Tahrir e se serve moriremo qui. Ma venerdì, se non ci ammazzano, dopo la preghiera lanceremo una nuova manifestazione che sarà l’addio a Mubarak». «La protesta al soldo della Cia» Dietro le linee dei sostenitori del presidente arrivano le ambulanze per evacuare i feriti. Secondo il ministero della Sanità sono oltre seicento, e ci sono tre morti. Un giovane ben vestito ci avvicina e urla: «Quelli della protesta sono pagati da Mohammed El Baradei e dalla Cia per manifestare». Poi comincia a spingere, alza le mani. Arriva un capitano dell’esercito che ci scorta vicino al suo carro armato: «Ce l’hanno con i giornalisti e gli stranieri perché non dite che la maggioranza degli egiziani appoggia Mubarak». Ma domani cosa farete, resterete ancora fermi? «Se interveniamo succede un disastro. Voi però andate via, se volete tornare sani dalle vostre famiglie». Allora gli chiediamo cosa impedirà la guerra civile, e lui allarga le braccia: «Lo sa solo Allah».