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 2011  gennaio 02 Domenica calendario

SANITÀ IN CALABRIA


2mld il buco della sanità
21,5% I cittadini ospedalizzati in un anno (in Friuli Venezia Giulia sono il 14,8%)
6,8% I pazienti che in Calabria tornano a farsi ricoverare entro un mese per lo stesso problema (5,4% la madia nazionale; 3,2% in Piemonte la regione migliore)
277mila euro la spesa lorda pro capite in Calbria (in Toscana è di 175mila)

A Bolzano una frattura al femore viene ope­rata entro due giorni per otto pazienti su dieci, in Calabria i fortunati sono appena due su dieci. E se in Toscana ci si presenta in ospe­dale con una diagnosi che richiede un intervento alla colecisti, nel 49% dei casi i medici procede­ranno in laparoscopia, causando fastidi ridotti al pa­ziente: nei nosocomi calabresi, invece, questa so­luzione meno invasiva viene adottata solo nello 0,8% dei casi. Non è scontato quindi ciò che mon­signor Luigi Cantafora, vescovo di Lamezia e pre­sidente della commissione per la pastorale della salute della Confe­renza episcopale calabra, ha af­fermato durante il convegno re­gionale di Caritas Calabria che si è svolto a Falerna, in provincia di Catanzaro: «La salute da non per­dere non è un favore, ma un dirit­to », ha detto il presule, aggiun­gendo che «la Chiesa desidera che gli ospedali pubblici funzionino tutti bene e che i servizi sanitari privati diano il meglio di sé».

In Calabria la sanità è diventata ormai la prima e­mergenza sociale tanto che il debito pubblico ac­cumulato rischia di paralizzare l’intera regione. Il disavanzo – quantificato al termine di un iter con­troverso – ammonta a due miliardi di euro: lo Sta­to, per arginare la falla, ha deciso di commissaria­re la gestione di Asp (aziende sanitarie provinciali) e ospedali e di congelare tutti gli altri fondi desti­nati al territorio. Ai delegati Caritas il dirigente vi­cario del dipartimento alla Salute, Gianluigi Scar­fidi, ha spiegato che Consiglio e Giunta regionale adesso «non possono più legiferare sulla sanità e si trovano nelle condizioni degli scolari che tutte le set­timane devono portare a Roma i compiti da far re­visionare ». Compiti che, tra l’altro, sono davvero gravosi. Si tratta di chiudere alcuni ospedali, riconvertirne al­tri, razionalizzare la spesa. Con il corollario di ten­sione che ne deriva sul territorio: a San Giovanni in Fiore il consiglio comunale è caduto e si è arrivati alle mani causando reazioni allarmate persino a Montecitorio, dove il caso è stato seguito in tempo reale; a Cariati la statale 106 Jonica è rimasta inter­rotta per 11 giorni per una prote­sta dei cittadini che ha paralizza­to tutta la dorsale orientale della regione; sull’alto Jonio cosentino 16 sindaci hanno incontrato il pre­sidente della provincia di Matera e hanno addirittura avviato le pro­cedure per la secessione in segui­to alla chiusura dell’ospedale di Trebisacce. «L’unica via d’uscita è disattivare i presidi che non ero­gano vera sanità», ha affermato Scarfidi.

E che il sistema sia tutto da registrare lo hanno con­fermato anche i dati forniti a Falerna dal docente dell’Università della Calabria Renato Guzzardi. Quello relativo alla migrazione verso ospedali di al­tre regioni, ad esempio, testimonia che i calabresi non si fidano delle loro strutture, tanto che ogni an­no sono 50mila coloro che si rivolgono fuori regio­ne, con un costo per i bilanci pubblici di 250 milioni. Ma a proposito dei soldi, don Ennio Stamile, dele­gato regionale Caritas, ha evocato un parallelo e­vangelico ricordando che il buon samaritano offre due denari all’albergatore perché si prenda cura dell’uomo bastonato: «In Calabria – ha commen­tato – il fiume di denaro pubblico è stato speso se­condo una logica che la commissione d’indagine Riccio-Serra ha definito “metodologia dell’ineffi­cienza”. E ora si deve porre rimedio con il rischio di perdere di vista il diritto alla salute sancito pure dal­la Costituzione». L’allarme è stato rilanciato alla platea Caritas anche dai responsabili delle case di accoglienza: tra ritar­di nei rimborsi e tagli alle rette, rischiano di veder chiudere i loro centri in tutta la regione. Ecco per­ché il vescovo Cantafora ha affermato che «la rior­ganizzazione che sogniamo non è un mero taglia­re, ma una riqualificazione che serva davvero il be­ne di ciascuno, anche di chi vive in zone montane».