Brunella Bololli, Libero 1/2/2011, 1 febbraio 2011
PARTE LA GARA PER IL MARCHIO BUNGA BUNGA
In attesa che i guru della pubblicità pensino allo slogan più azzeccato, c’è il marchio: bunga bunga. Due paroline magiche che, secondo gli esperti, in questo momento valgono non meno di 100mila euro. Tradotto: affari d’oro per il proprietario del simbolo bunga bunga che, guarda caso, da novembre, con il deflagrare del caso di Ruby Rubacuori, è ricercato come una pepita d’oro. Tutti lo vogliono in licenza.
C’è chi pensa a un nuovo tipo di calze, chi a una linea di cosmetici, chi opta per la ristorazione, chi lo trova perfetto per una catena di discoteche, chi semplicemente vuole esserne proprietario per venderlo al migliore offerente. Perché se la pubblicità è l’anima del commercio, niente in questo momento tira più del bunga bunga. L’ideologia, intendiamoci, c’entra poco o niente. In gioco ci sono sono questioni di puro marketing, niente di politico o anti-politico, eppure anche stavolta, pur senza saperlo, Silvio Berlusconi e le sue presunte serate nella tavernetta di Arcore rischiano di fare entrare nelle tasche del padrone del bunga bunga un bel po’ di quattrini. Chi è costui? Per ora i potenziali titolari del marchio, solo in Italia, sono otto. Basta consultare l’Ufficio italiani Brevetti e Marchi presso il ministero dello Sviluppo italiano, per avere una panoramica completa della questione.
Chi arriva prima, in genere, ha più chance e gli altri si devono accontentare di quello che avanza. Ad esempio, la ditta Pompea spa di Medole, il 3 novembre scorso, ha depositato la richiesta di brevetto per un prodotto chiamato bunga bunga nel settore abbigliamento, calzature, cappellerie. Le classi, cioè gli argomenti per i quali è possibile registrare un marchio, sono 43: dalla profumeria agli apparecchi scientifici e nautici, dai metalli preziosi al tessile, dai corsi di formazione alle strutture per il divertimento. Ad esempio, il signor Giovanni Trabalzini, di Roma, professione impiegato da oltre 50 anni, non fa mistero di avere dato mandato per la deposizione del marchio bunga bunga relativo a cinque classi diverse, in modo che «se una è già presa, ce la facciamo comunque con le altre». Trabalzini ha perfino dato disposizioni per il logo: con la dicitura bunga bunga «in caratteri fantasia e andamento ondulatorio e una freccia sotto la scritta. Avevo pensato pure al marchio escort, quando è uscito lo scandalo della D’Addario, ma poi ho desistito».
L’ufficio brevetti del ministero, comunque, cerca di accontentare tutti. «Solo i simboli contrari alla morale non vengono accolti o quelli offensivi al culto dei santi o alle confessioni religiose», spiegano dal dipartimento. «Prima servivano due anni, adesso ci vogliono quattro o cinque mesi per assegnare il marchio e, in caso di contenzioso o di mancata assegnazione ci può essere ricorso alla magistratura».
La corsa al copyright del bunga bunga non è comunque solo un fatto italiano. Spulciando sui siti dell’Unione europea, si trova pure la richiesta dell’associazione inglese Field Fisher Waterhouse, mentre da Tirana, in Albania, a farsi avanti è tale Berardino Apicella. Poi c’è chi vuole aprire un “bunga bunga bar” e chi, a Napoli, ha lanciato il simbolo del “bunga bunga people” per tessuti di cuoio, valigie, merletti, pizzi, lacci e ricami. Il bunga bunga ha aperto un mondo.