Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 29/1/2011, 29 gennaio 2011
L’ITALIA SI FARÀ DA ROMA IN GIÙ
Di tutte le sfide che l’Italia deve affrontare, quella del Mezzogiorno, dopo 150 anni dall’unificazione nazionale, resta la più difficile. Anche perché nell’intera Europa occidentale non esiste nessun altro paese "duale" come il nostro, anche in termini dimensionali, essendo la popolazione del Sud e delle Isole grande all’incirca come quella di Grecia e Portogallo insieme.
Già sappiamo molto sul divario economico Nord-Sud. Innanzitutto riguardo al valore della produzione. Le statistiche Eurostat ci dicono che, a parità di potere d’acquisto, il Pil pro capite del Nord Italia è superiore a quello della Svezia mentre il Pil pro capite dell’intero Nord Centro Italia (un’area che equivale a una nazione europea medio-grande, con quasi 40 milioni di abitanti) è nettamente superiore a quello di Germania o Francia. Per contro, il Pil pro capite del Sud e delle Isole è inferiore al Portogallo. Ciò dovrebbe far riflettere anche sulle "ricette" per riformare l’Italia e rilanciarne la crescita poiché è evidente che una cosa è "curare" il Nord Centro (ai vertici in Europa), un’altra è "curare" il Mezzogiorno (che arranca con i più deboli paesi europei mediterranei).
Il divario tra Nord e Sud Italia è ben riflesso anche dai dati sulla ricchezza finanziaria delle famiglie (sia pure in misura meno accentuata perché le cifre sullo stock di ricchezza accumulata nel tempo probabilmente fanno emergere una parte del sommerso del Mezzogiorno che i dati del reddito non hanno "catturato"). Se il Nord Ovest e il Nord Est vantano una ricchezza finanziaria per abitante al top in Europa, su livelli analoghi o superiori a quelli di Belgio e Olanda, il Mezzogiorno è molto indietro. E il divario si amplia includendo la ricchezza immobiliare. Per quanto riguarda l’export e il surplus manifatturiero, il Nord Centro Italia nel 2009 ha esportato prodotti industriali non alimentari all’incirca come la Gran Bretagna intera (178 miliardi contro 189) potendo però vantare un gigantesco surplus manifatturiero con l’estero (45 miliardi), secondo nella Ue solo a quello tedesco, mentre la Gran Bretagna è in profondo deficit (60 miliardi).