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 2011  febbraio 01 Martedì calendario

IL FEDERALISMO FISCALE NON È AFFATTO «IRREVERSIBILE»

i sono parole che rivelano un mondo. Come quelle usata da Giulio Tremonti, secondo cui il federalismo fiscale è un «processo irreversibile». Come una malattia degenerativa. Ha usato proprio questa espressione, il ministro, per descrivere l’ineluttabilità di quella che chiama la riforma delle riforme. Affermare che il federalismo fiscale va fatto ad ogni costo, significa partire con il piede sbagliato. Ed esporre il paese a un grande pericolo potenziale.
Il federalismo non è per nulla “irreversibile”. È una sfida importante, una formidabile occasione per unire l’Italia attraverso meccanismi di responsabilizzazione che elevino l’efficienza e la qualità della spesa, senza però penalizzare i più deboli.
Tre le condizioni implicite in ogni vero sistema federalista. La prima: la riforma non deve insidiare il concetto di unità, ma rafforzare coesione e convergenza attraverso un forte indirizzo nazionale. Significa che lo Stato deve continuare a essere garante di una equa distribuzione delle risorse tra aree geografiche e ceti sociali. Seconda condizione: la responsabilizzazione di cui sopra non può diventare alibi per fare scaricabarile sulle realtà più deboli. Terza e ultima condizione: il federalismo non deve portare a un incremento della pressione fiscale. Questi principi erano individuabili in nuce nella legge delega 42 su cui non a caso il Pd si è astenuto. Ma sono stati traditi dai pessimi decreti attuativi che l’hanno sostanziata stravolgendone l’impianto ribaltandone lo spirito unitario e solidale.
Oggi non ci sono sufficienti garanzie su questi tre punti. Il decreto sul fisco municipale presentato da Calderoli e Tremonti anzitutto aumenta le tasse. Aumenta l’addizionale Irpef e introduce due nuove gabelle: la tassa di soggiorno e quella di scopo. Inoltre per artigiani, commercianti e piccoli imprenditori l’Ici raddoppierà. C’è poi da smontare l’argomento pedagogico. Secondo Berlusconi, Bossi e Tremonti questo federalismo educherà e responsabilizzerà i dirigenti meridionali. Come? Prosciugando fondi e strumenti nazionali destinati alla convergenza e cancellando d’un sol gesto la questione meridionale dall’agenda del paese. La lezione arriva dunque da un governo che usa il pretesto federalista per sottrarsi dalle proprie urgenti responsabilità. Lo dimostra l’inconsistenza del cosiddetto Piano Sud, operazione «priva di anima e di strategia», per citare il presidente della Svimez.
Il federalismo fiscale, così come attuato da Bossi e Tremonti, rischia di allentare ulteriormente i cardini di una coesione già duramente messa alla prova dalle politiche di questo governo. Non offre alcun tipo di garanzia sui servizi e sui livelli essenziali di assistenza. Aumenta la pressione fiscale tra le fasce e le categorie deboli. Non responsabilizza la classe dirigente territoriale ma anzi, azzerando le risorse locali, offre l’alibi per un perfetto immobilismo. Con sistema così congegnato si rischiano effetti diametralmente opposti rispetto a quelli dichiarati. Altro che irreversibile. Un federalismo così va solo accantonato. È da rilevare che la sofferenza e il malcontento hanno convinto molti amministratori di centrodestra a impegnarsi contro questa riforma. Sarebbe bello vedere lo stesso impegno in qualche parlamentare della maggioranza.