Adriana Bazzi, Corriere della Sera 01/02/2011, 1 febbraio 2011
DA UN CAPELLO SI CREA L’IDENTIKIT
Scena del crimine &dintorni: gli indizi di un progresso scientifico ci sono tutti. Una traccia biologica, lasciata dal sospettato (un capello o una goccia di sangue), potrebbe servire non solo per rilevare l’impronta genetica (cioè il dna del soggetto da confrontare con quello di individui schedati), ma, in futuro, anche per tracciarne l’identikit. Niente più schizzi su carta o ricostruzioni delle facce al computer, con l’aiuto dei testimoni oculari, ma l’analisi di quei geni che, per esempio, determinano il colore dei capelli (ricercatori tedeschi e polacchi hanno appena identificato quelli del colore rosso e pubblicato la scoperta su Human Genetics), degli occhi o della pelle, oppure l’origine etnica (gli investigatori della strage sui treni del 2004, a Madrid, hanno scoperto così l’origine nord-africana di un sospettato) e persino la forma della faccia. Per ora si tratta di ricerche, che hanno alcuni limiti, perché si sa che l’ambiente può condizionare l’espressione dei geni, ma il campo del «genetic profiling» , è molto promettente. La genetica, dunque, mantiene un ruolo di primo piano nelle indagini di medicina forense, ma ci sono altre discipline, soprattutto tecnologiche, che stanno rivoluzionando le indagini criminologiche: si va dall’informatica alle tecniche di imaging, già usate nella diagnostica medica, come la tomografia o la risonanza magnetica, fino al laser scan per «immortalare» la scena del crimine. «Ai rilievi fotografici o alle registrazioni con la videocamera, che forniscono immagini bidimensionali, si è aggiunto ora il laser scan— spiega Cristina Cattaneo, medico legale, responsabile del Laboratorio di antropologia forense all’Università di Milano e autrice di libri. — Questo strumento consente di rilevare le coordinate tridimensionali di tutti gli oggetti e permettendone, poi, la ricostruzione in 3D. Una versione virtuale della scena del crimine, che può essere analizzata in tempi successivi dagli esperti, magari per la ricerca di elementi che, al momento del sopralluogo, non sembravano importanti» . Ma ci sono altri campi di applicazione delle nuove tecnologie che appaiono di grandissimo interesse. Un gruppo di ricercatori americani di Bethesda ha appena dimostrato, su Radiology, che la tomografia multistrato a 64 slices è una tecnica utile per stabilire la traiettoria di un proiettile nel corpo umano, dal foro di entrata a quello di uscita, in caso di omicidio, ma anche di attentati. Dati che potrebbero essere utili per risalire alla posizione di chi ha sparato e alla sua distanza dalla persona colpita. «Stiamo parlando di "virtuopsy", l’autopsia virtuale — precisa Cristina Cattaneo —. Invece di dissezionare un cadavere, lo si sottopone a questa Tac multistrato che permette, poi, di analizzare il corpo al computer» . Dalla Tac alla risonanza magnetica. Una tecnica, quest’ultima, che sta accendendo un gran dibattito, anche di tipo etico, per le sue applicazioni nell’analisi del «cervello criminale» (ci sono studi che, grazie a questo esame, hanno rilevato anomalie in alcune aree cerebrali dei serial killer) e nel suo impiego come «macchina della verità» : potrebbe, cioè, rilevare una diversa attività di certe aree cerebrali a seconda se l’individuo sta dicendo la verità o sta mentendo. «E’ una prospettiva promettente — commenta Alessandro Spano, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia che ha organizzato a Milano un corso sull’analisi della scena del crimine (durerà fino a giugno) —, ma oggi nell’interrogatorio potrebbe avere molta più rilevanza pratica la cosiddetta intervista cognitiva. Una tecnica scientifica, che permette di porre le domande giuste nel modo giusto per far sì che le risposte non siano "inquinate"da suggestioni di chi interroga» . La medicina forense, dunque, si sta connotando come una scienza «saprofita» , che «si ciba» dei progressi di altre discipline. «La cosa più importante, al di là dei progressi scientifici — commenta Marta Mandelli, medico legale all’Università di Milano— è la collaborazione fra gli esperti. Soltanto così un’indagine può portare a risultati» . Perché, alla fine, quello che conta è trovare il colpevole.
Adriana Bazzi