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 2011  febbraio 01 Martedì calendario

LA FRUSTATA CHE SERVE ALLA RIPRESA

Dopo una lunga concentrazione sulle sue questioni personali, il presidente del Consiglio cerca ora di riprendere l’iniziativa ritornando sul terreno della politica economica. E lo fa con una mossa largamente imprevista, non foss’altro che per la sua rapidità (i progetti da lui annunciati dovrebbero essere approvati dal Consiglio dei ministri già venerdì) che si articola lungo tre direttici.

Dopo aver a lungo negato o minimizzato la portata della crisi, il presidente del Consiglio propone ora, con la sua prima direttrice, un’uscita «di forza» dalla crisi stessa.
Un’uscita che arriva mediante lo scatenamento, con l’abolizione di quelli che una volta si chiamavano «lacci e lacciuoli», di energie nascoste dell’imprenditoria italiana. Liberando le imprese dai lacci e lacciuoli si vorrebbe dare una «frustata al cavallo dell’economia», la più grande che la storia italiana ricordi. E l’economia riprenderebbe a correre: con la sua corsa il cavallo pagherebbemaggiori imposte risolvendo verosimilmente sia i problemi del bilancio pubblico sia quelli dell’occupazione.

Non ci sarebbe quindi bisogno di nuove imposte e, meno che mai - secondo caposaldo della costruzione del presidente del Consiglio - dell’imposta patrimoniale richiesta da sinistra, anzi, come per Reagan negli Stati Uniti degli Anni Ottanta, bisognerebbe procedere a una riduzione delle imposte, meglio se concentrata nella parte meridionale del Paese. La corsa del cavallo sarebbe quindi ulteriormente stimolata da un «piano di immediata defiscalizzazione per la rinascita del Sud», ed è questa la terza direttrice dell’iniziativa berlusconiana.

Nel respingere l’ipotesi di una patrimoniale, il presidente del Consiglio usa questa parola di cinque sillabe come il vero sostituto di una politica economica e industriale verso la quale non ha mai dimostrato una particolare simpatia. Riesce - con una considerevole abilità tattica - a identificare tutta l’opposizione con questa ipotetica nuova imposta a proposito della quale ci sono invece, come su quasi tutto, divisioni molto profonde nell’opposizione. Ributta così la palla in campo avverso dove sicuramente non ci sono idee molto chiare né molto articolate né molto facilmente «vendibili» agli elettori di un’eventuale campagna elettorale in tempi ravvicinati.

Chiarezza andrebbe comunque fatta. Occorre innanzitutto riconoscere che l’affidarsi alla crescita spontanea, agli «spiriti vitali» del capitalismo, miracolosamente risvegliati da mutamenti nelle regole, sa molto di propaganda. Se anche questa strategia avesse successo, i tempi sarebbero sicuramente di almeno due o tre anni, troppo lunghi per un Paese che sente sul collo il fiato dei creditori, chiamati mese dopo mese a rifinanziare il suo debito.

Occorre ugualmente ammettere che l’economia italiana è prigioniera di un circolo vizioso: solo la crescita può riportare a dimensioni ragionevoli l’enorme debito pubblico che soffoca l’economia, ma proprio il soffocamento dell’economia da parte del debito pubblico impedisce la crescita, se non a velocità così irrisoria che per far risalire la produzione italiana ai livelli pre-crisi con la bassissima crescita precedente si arriverebbe al 2015 (per l’occupazione ci vorrebberoalcuni anni in più).

Come se ne esce? Occorrerebbe uno scatto, una mossa, così come sia i proponenti la patrimoniale sia il presidente del Consiglio con la sua fierissima opposizione alla patrimoniale hanno bene inteso. Chi non ama la patrimoniale dovrebbe dire chiaramente che cosa ci mette al posto, e non fare semplicemente balenare l’immagine di un cavallo frustato che si mette ad andare al galoppo. Chi ama la patrimoniale dovrebbe sapere che si tratta probabilmente di una perfetta ricetta per perdere le elezioni. In questo modo, proprio perché la nostra malattia finanziaria è molto seria ma non acuta, rischiamo di non muoverci mai. Grecia, Irlanda e Spagna si sono date una mossa, la nostra considerevole capacità di assorbire gli choc rischia di farci perennemente assopire in uno stato di non-crescita.

Una soluzione potrebbe essere ricercata sulla falsariga dei dati del rapporto annuale della Guardia di Finanza, resi noti ieri, nel quale viene documentata un’attività di recupero dell’evasione a livelli che rappresentano un massimo storico. Mentre con la patrimoniale pagherebbero sempre i soliti noti, un recupero ancora più sostanzioso dell’evasione - da effettuare senza inutili moralismi e senza colpevolizzazioni eccessive ma concedendo più risorse all’apparato di controllo - farebbe emergere un gran numero di evasori totali e parziali. La lotta all’evasione può essere la vera «frustata» al cavallo anche perché il livello attualmente stimato dell’economia sommersa è pari circa al doppio di quello degli altri Paesi europei, ossia un quarto del prodotto lordo.

Riportare l’economia sommersa a un livello europeo è un obiettivo al tempo stesso decoroso ed efficiente sul quale sarebbe possibile raccogliere un largo consenso. Il percorso di uscita dalla crisi sarà comunque complesso. Non ci sono «uomini del destino» in grado di riparare con un tratto di penna, foss’anche una modifica costituzionale, a un guasto che si è accumulato in vent’anni.