Giorgio Sturlese Tosi, Panorama 3/2/2011, 3 febbraio 2011
CASA SANTONI: SIAMO LA FAMIGLIA BIOETICA
Numerosa, benestante, cattolica non praticante, alto livello culturale: è questo il ritratto della prima famiglia bioetica del 2011. Franco Santoni, settantenne fiorentino, farmacista in pensione, affaccendato nelle commissioni che i familiari gli affidano ogni giorno, è diventato il protagonista di una sentenza importante nella giurisprudenza che regola il fine vita. O meglio, il diritto alla morte.
Il tribunale civile di Firenze, infatti, ha accolto un’insolita istanza nella quale Santoni, in ottime condizioni di salute e nel pieno delle sue facoltà mentali, nomina la moglie come amministratore di sostegno in caso di una grave malattia e di una sua contemporanea incapacità di comunicare. Detto in parole più semplici, il giudice tutelare Salvatore Palazzo ha stabilito che la signora Santoni, 66 anni, possa staccare la spina al marito.
È il secondo riconoscimento di testamento biologico avvenuto in Italia dopo quello analogo sancito due anni fa a Modena. Se il Granducato di Toscana fu il primo stato al mondo ad abolire, nel 1786, la pena di morte, il suo capoluogo segna oggi un altro primato, solo apparentemente opposto. Lo sostiene il legale che ha assistito Santoni nella sua battaglia per il diritto a un fine vita dignitoso, l’avvocato Sibilla Santoni. Non un’omonima, ma l’agguerrita figlia del farmacista in pensione, 39enne, una esperta sulla figura dell’amministratore di sostegno.
«È la Costituzione, all’articolo 32, che sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo. Ma anche che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. E che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Mio padre ha voluto tutelare la sua libertà di scegliere».
La notizia della vittoria in tribunale, dopo altri tentativi falliti, è stata accolta con soddisfazione dal legale, che ha anche ricevuto una telefonata di congratulazioni da Beppino Englaro. E ci sono state le previste reazioni di politici che, da opposti schieramenti, non riescono a portare a termine un tormentato iter legislativo sulla questione.
Ma gli interessati non si sono scomposti più di tanto.
«Erano anni che ci stavo pensando» racconta il protagonista che, scaramantico, si definisce sano e ottimista. «Con il mio lavoro di farmacista prima e di informatore farmaceutico poi ho potuto conoscere situazioni drammatiche di pazienti tenuti in vita nonostante la loro non fosse più vita. Mi sono documentato, ne ho parlato in famiglia e alla fine mi sono deciso».
Già nel 2006 si era rivolto al notaio Luigi Aricò, professionista fiorentino non nuovo a battaglie civili, che aveva intrapreso la campagna di registrazione di testamenti biologici al costo simbolico di 1 euro. Un atto che, in sé, non sancisce alcun divieto di cura ma che almeno stabilisce, senza che ci siano dubbi, la facoltà mentale di chi lo ha compilato, la sua identità e quella dei testimoni e che, nell’intento del notaio, avrebbe dovuto stimolare un’azione legislativa innovativa.
Santoni ha fatto di più. Ha voluto ricorrere a un tribunale civile. Per dire che, in caso di
«malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, nonché di malattia che lo costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscono una normale vita di relazione», non vuole «essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né a idratazione e alimentazione forzate artificiali»;
e ha fin d’ora negato il consenso a trattamenti sanitari come la rianimazione cardiopolmonare, la dialisi continuativa e la ventilazione polmonare. Lasciando però la porta aperta a eventuali trattamenti che possano lenire il dolore, compreso l’uso di oppiacei, anche se questi dovessero anticipare la sua morte.
Signor Santoni, lei si è praticamente assicurato una morte serena e indolore?
«Non soltanto questo, credo così di avere anche risparmiato, nella scongiurata evenienza che mi accada qualcosa di così terribile, una pena indicibile ai miei parenti».
La responsabilità di una scelta comunque tremenda è passata alla moglie, con la quale, il 7 dicembre scorso, ha festeggiato, alle terme, i primi quarant’anni di matrimonio.
«È stata una scelta serena, presa dopo averne discusso in famiglia, come sempre facciamo per tutte le decisioni importanti» spiega Francesca Da Porto, coniugata Santoni, insegnante di matematica in pensione e vorace lettrice di romanzi. «Non immaginavamo che la nostra decisione potesse avere tanta importanza, lo abbiamo fatto e basta. Speriamo che non ci sia mai bisogno di dare seguito alla sentenza ma sono convinta che, in ogni caso, farei quello che desidera mio marito».
La figlia Sibilla, artefice della conquista giuridica che coinvolge i suoi genitori, oggi è frastornata dalle richieste di altre coppie che le propongono lo stesso quesito. Che però, precisa il legale, non è affatto scontato nel suo esito finale. Lei stessa infatti ammette che con altri giudici non ha avuto lo stesso accoglimento, pure se in ogni caso la procura che doveva esaminare la questione si era espressa favorevolmente.
Intanto la vita quotidiana dei coniugi Santoni, in realtà così lontani dal pensiero della morte, scorre sempre frenetica tra l’ultimogenito che ancora vive in casa e fa pratica da avvocato, gli allenamenti in palestra, le partite a bridge, le sedute di ricamo e i quattro nipotini ai quali hanno riservato due giorni alla settimana, «che di più, poi, mi viene il mal di schiena», e dedicando il poco tempo che rimane alle letture, ad andare a teatro e al cinema, perché «chi si annoia a Firenze, con tutto quello che offre questa città, vuol proprio dire che non sa vivere».
Ogni tanto Franco Santoni va a messa, nella chiesa dei salesiani della Sacra Famiglia, in via Gioberti, a due passi dal centro. Ma al suo parroco non ha ancora detto niente. Preferisce tenere separata la fede dalla ragione.