Zachary Karabell, Mf/WSJ 1/2/2011, 1 febbraio 2011
UN’ECONOMIA TROPPO CHIUSA HA PRIVATO GLI EGIZIANI DELLA SPERANZA NEL FUTURO
La rivolta di massa a cui stiamo assistendo in Egitto porta alla luce un fatto che si è cercato invano di nascondere: in un decennio durante il quale la Cina ha permesso a un numero incredibile di persone di superare la soglia della povertà come mai era successo nella storia dell’umanità, in un periodo in cui sono state attuate riforme economiche dal Brasile all’Indonesia, l’Egitto ha perso un’opportunità. Dieci anni fa, Ibm aveva girato una serie di spot pubblicitari in cui dimostrava la sua portata globale. In uno era presentato un pescatore che navigava sul Nilo e nello stesso tempo si collegava a internet con una rete wireless. Era un’immagine allettante ma quasi completamente immaginaria. Sono pochi i paesi meno integrati dell’Egitto nell’economia globale. Il paese è 137° in termini di reddito mondiale pro-capite (appena dietro Tonga e prima di Kiribati), con una popolazione tra i primi 20 Paesi al mondo. E mentre la crescita del pil negli ultimi anni è stata dignitosa, con una media del 4-5% tranne nel 2009, tale crescita è solo media in un periodo in cui le nazioni maggiormente competitive hanno registrato risultati sorprendenti. L’Egitto è stato sempre famoso per la sua cronica inefficienza. Hosni Mubarak se l’è cavata grazie agli aiuti americani per 3 miliardi di dollari l’anno, ad altri 5 miliardi ottenuti dai dazi sul passaggio nel Canale di Suez e infine a 10 miliardi provenienti dal turismo, quanto basta per ottenere il consenso di una considerevole porzione degli 80 milioni di egiziani. Nei tempi moderni l’Egitto è sempre stato un faro di speranza per il mondo arabo: il movimento per l’indipendenza guidato da Gamel Abdel Nasser si era ribellato agli ultimi baluardi dell’impero britannico nel 1952. Il faro rimase acceso con il successore di Nasser, Anwar Sadat, ricordato nel mondo occidentale per la sua apertura nei confronti di Israele e per il trattato di pace del 1981 che portò al suo assassinio. Il più durevole lascito di Sadat per l’Egitto è sicuramente stato il suo breve tentativo di liberalizzare l’economia (la Infitah) e di aprire il Paese al mondo.
Anche se il presidente Mubarak ha sempre sostenuto l’apertura dell’economia, almeno a parole, per oltre trent’anni l’economia egiziana è stata bloccata in un sistema che impedisce l’attività economica e l’innovazione, nonché l’espressione politica. Negli ultimi anni, sembrava che Mubarak avesse capito che la totale assenza di riforme economiche non era più sostenibile. Il presidente egiziano ha visto che la Cina è rinata senza fare allentare il controllo dello Stato sulla vita politica e ha concesso aperture ai blocchi commerciali regionali. Solo pochi giorni prima delle manifestazioni di piazza, Mubarak ha ospitato il secondo Summit sullo sviluppo economico e sociale arabo in un resort a Sharm el-Sheikh, sostenendo la necessità di una maggiore integrazione economica araba oltre che di un importante miglioramento delle infrastrutture per i trasporti regionali e del commercio. Ma in passato i cambiamenti promessi sono stati di gran lunga superiori ai cambiamenti effettivamente realizzati, e sono pochi i motivi per pensare che questa volta le cose andranno diversamente. Mubarak ha rifiutato qualsiasi richiesta di apertura economica, asserendo che il fondamentalismo islamico avrebbe fatto il suo ingresso nel Paese del Nilo. Il mondo ha accettato le motivazioni di Mubarak. Washington era troppo concentrata sulla minaccia del radicalismo islamico e ha scelto di sostenere timidamente Mubarak piuttosto che rischiare che i suoi timori si avverassero concedendo le elezioni o la libertà di espressione. Nel frattempo la Cina ha ignorato la dialettica occidentale che aveva classificato l’apertura economica tra i più importanti imperativi sociali e si è lanciata nell’esperimento di un accelerato sviluppo economico senza alcun cambiamento politico. Il suo fenomenale successo non può essere negato, come del resto è impossibile prevedere il suo corso futuro. Ma l’Egitto è riuscito ad anticipare entrambe, con una semplice lezione: né riforma economica né riforma politica. Ciò che per il momento permette alla Cina (e al Brasile, all’India, all’Indonesia) di prosperare è che i suoi cittadini ritengono di avere un certo controllo sulla propria vita e un’opportunità di trasformare i loro sogni e ambizioni in realtà. Hanno a disposizione un canale di sfogo per le loro passioni senza alcuna imposizione, oltre che un livello sempre maggiore di libertà economica. I giovani egiziani (due terzi della popolazione ha meno di 30 anni) sono convinti di non avere un futuro e da molti punti di vista hanno ragione. Con Mubarak, derrate alimentari e abitazioni sono sovvenzionati. I giovani lavorano o sono disoccupati, non muoiono di fame ma non ci sono speranze, solo un futuro senza alcuna parvenza di cambiamento. Una simile situazione, però, da sola non provoca una rivoluzione. Ci sono molti Paesi poveri ma tranquilli. Ma l’Egitto presenta tutte le caratteristiche di una vera e propria polveriera. Il futuro potrà essere solo peggiore, con regimi radicali o il caos. Infatti per i milioni di persone giunte alla conclusione che i loro sogni di una vita migliore sono andati in fumo, non c’è niente di peggio del presente.