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 2011  gennaio 30 Domenica calendario

ROSTAGNO, 22 ANNI DOPO MAFIOSI ALLA SBARRA

Erano le otto di una sera settembrina. La Duna bianca avanzava nel buio. Stranamente, i lampioni che avrebbero dovuto illuminare la strada di campagna erano spenti. Anche così, però, Silvana e la sorellina Emilia, 13 e 8 anni, riconobbero la figura di bianco vestita che spiccava nel buio dell’abitacolo: era l’uomo con la barba che viveva lì vicino, alla comunità dei tossici, e che ogni sera alla televisione parlava di cose che solo i grandi, forse, capivano.
La Duna correva veloce, un po’ troppo per quella strada. Ma la Fiat Uno blu che la tallonava andava ancora più forte. Soprattutto dopo. Dopo i colpi di arma da fuoco (“tre in rapida successione, e poco dopo altri due”), quando l’auto blu tornò indietro “a fortissima velocità”.
Fecero anche in tempo, le bambine, a vedere che l’uomo con la barba non era solo ma aveva al fianco una ragazza. E che sull’auto che lo seguiva c’erano tre uomini: due davanti e uno dietro, nel mezzo “come se volesse indicare qualcuno o qualcosa”.
Quello che fortunatamente i loro occhi non poterono vedere fu l’assassinio dell’uomo alla guida della Duna: Mauro Rostagno, 46 anni, sociologo, ex leader di Lotta continua, poi seguace del guru Bhagwan Shree Rajneesh con il nome di Sanatano (eterna beatitudine), quindi fondatore e terapeuta della comunità di recupero per tossicodipendenti Saman. Ma, soprattutto, bestia nera dei boss locali di Cosa Nostra, che ogni sera Rostagno denunciava pubblicamente, con nomi e cognomi dagli schermi di RTC (Radio Tele Cine), illustrandone i traffici e le collusioni.
Rostagno stava tornando proprio da quella che sarebbe stata la sua ultima trasmissione quando, quel 26 settembre 1988, venne assassinato nella frazione di Lenzi (Trapani), a pochi metri dalla Comunità Sa-man. Prima di accasciarsi, colpito alla spalla e al capo, ebbe solo il tempo di gridare a Monica Serra, la collaboratrice che gli stava accanto, di accucciarsi per evitare di rimanere colpita dagli spari che provenivano da dietro. E fu proprio lei, illesa, a scendere dall’auto e a raggiungere la Comunità per dare l’allarme. Rostagno era già morto.
Intanto, l’auto degli assassini veniva nascosta nelle vicinanze e, solo successivamente, portata lontano dal luogo del delitto, in una cava ai piedi del monte Erice, e data alle fiamme.
Gli investigatori:
omicidio di mafia
CHE SI TRATTASSE di un omicidio di mafia parve subito chiaro ai primi investigatori. Perché Rostagno era “una camurrìa”, come avrebbe detto Totò Riina, perché parlava troppo e male di Cosa Nostra e dei suoi affari, perché “rompeva”, come avrebbe sostenuto il capo della cupola del tempo, don CiccioMessinaDenaro .Eancheper le modalità dell’agguato: l’auto rubata molto tempo prima, nascostainqualcheanfrattosubito dopo il delitto e solo in seguito spostata e bruciata, probabilmente da qualche complice, nella cava dove fu trovata solo il giorno dopo (i poliziotti avevano perquisito il luogo poche ore dopo il delitto, senza trovarla). E in quella direzione, omicidio di mafia, si mossero gli uomini della squadra mobile della polizia, guidata allora da Calogero Germanà. Ma quasi subito le indagini passarono ai carabinieri, che puntarono decisamente sulla pista interna alla comunità Sa-man. Senza risultati. Senza un colpevole per molto, troppo tempo.
Perché se in Sicilia incastrare gli autori di un delitto non è cosa semplice, impiegare oltre vent’anni per scovarli e portarli alla sbarra è inusuale perfino in terra di mafia. Eppure, questo è quanto è successo con l’omicidio Rostagno. Ed è quasi un miracolo se, riprendendo in mano l’inchiesta e risvolgendola da capo, Antonio Ingroia e Gaetano Paci, rispettivamente procuratore aggiunto e Pm alla Dda di Palermo, sono riusciti a portare in giudizio, a oltre 22 anni dai fatti, il presunto mandante e il presunto killer (uno dei tre della Uno blu, deglialtrisisonoperseletracce) di quell’uomo coraggioso e pericoloso.
Il processo inizierà il 2 febbraio, a Trapani. Vincenzo Virga e Vito Mazzarasonogliimputati.Nomi noti alle cronache giudiziarie, entrambi detenuti per altri, efferati, delitti. Virga, capo del mandamento di Trapani, è stato il tramite tra la “nuova mafia” di Matteo Messina Denaro, figlio di Ciccio, e quella “tradizionale” di Bernardo Provenzano. Mazzara era suo uomo di fiducia, oltre che un killer preciso e spietato (“campione di tiro al piccione” amava definirsi) condannato per altri omicidi. A incastrarli, le dichiarazioni di alcuni pentiti e, soprattutto,unaperiziabalistica sul resto del fucile e dei bossoli trovati all’epoca sul luogo delitto.
“Nonèmaistata–questa–un’indagine facile” ha scritto Ingroia nell’ordinanza di custodia cautelare per i due imputati “e non lo è stata soprattutto perché le battute iniziali degli accertamenti, contrassegnate talvolta da pressappochismo e sorprendenti superficialità, hanno rischiato di compromettere per sempre ogni chance di fare luce su quel gravissimo fatto di sangue. Tanto da dare adito alla non ingiustificata, e forse neppure infondata, ipotesi che un certo pressappochismo, una certa superficialità potessero spiegarsi anche con quella spessa coltre di pregiudizi negativi verso la vittima (…) fuorviando le indagini, al punto da far sospettare che vi fosse perfino la specifica intenzione di compromettere la genuina acquisizione delle prove, depistare le indagini, impedire l’accertamento della verità”.
L’ipotesi del delitto
tra conoscenti
PAROLE CHE pesano come pietre e riportano alla memoria l’indagine condotta, a metà degli anni Novanta, dal Procuratore di Trapani Gianfranco Garofalo. Il quale, ripudiando la tesi del delitto di mafia e sposando quella del “delitto fra amici”, accusò dell’omicidio e mandò in carcere Chicca Roveri, la compagna di Rostagno, e altri membri della comunità Saman. Una bufala e un’infamia. Smontate in pochi mesi.
Così come infame era stato, pochi anni prima, il tentativo di addossare a Lotta continua l’omicidio di Mauro, suo figlio prediletto. Lo fece, durante un’udienza del processo Calabresi, Luigi Ligotti, avvocato di molti pentiti e, in quel processo, difensore di parte civile: “Rostagno non è morto per lupara: è stato fatto tacere! Sicuramente. Ma alla vigilia di un interrogatorio per questi fatti” concionò l’avvocato ipotizzando che Lc avesse voluto eliminare un testimone scomodo. Naturalmente era vero il contrario: Rostagno era stato ucciso alla vigilia di una sua testimonianza ai giudici di Milano a favore di Sofri e degli ex compagni, come provaronoisuoiscrittie una sua registrazione a RTC. La “fonte” dell’avvocatoLigotti,siseppe poi, era un documento redatto da un ufficiale dei carabinieri di Trapani: un falso madornale sul quale nessun tribunale ha mai indagato.
“Sono vicende, queste, che possono apparire incredibili, ma che non stupiscono noi che lavoriamo in Sicilia e abbiamo costantemente a che fare con depistaggi e servitori infedeli dello Stato” dice Beatrice Rinaudo, legale di Chicca Roveri e della figlia Maddalena Rostagno. “Non è un caso se le indagini sull’omicidio hanno ripreso quota quando sono state prese in carico da altri magistrati e gli uomini della polizia hanno sostituito i carabinieri”.
Al termine di queste indagini, i magistrati ritengono di aver provato che l’ordine venne dai capi della mafia e fu eseguito da killer mafiosi.Chelasofisticataperizia balistica affidata al capo della Mobile, Giuseppe Linares, prova che non sparò un fucile maneggiato da balordi, ma armi efficienti; e il confronto, finalmente eseguito, con l’archivio dei proiettili custoditi dai carabinieri, mostra che quelle armi furono impiegate, prima e dopo, in altri omicidi di mafia, eseguiti dallostessokiller,cosìabilenella mira da evitare sempre di colpire chi stava a fianco del bersaglio. Che un uomo del boss Vincenzo Virga interruppe la rete elettrica la sera dell’agguato (ricordate il buio in cui avvenne l’omicidio?): era un operaio dell’Enel,eanchel’autistadifiducia del boss mafioso, e fu trovato ammazzato otto mesi dopo, poco distante da lì.
Ma dal processo potrebbe uscire altro: le parti civili insisteranno perché siano approfondite alcune piste che indicherebberouncoinvolgimentoneldelitto dei servizi segreti deviati con la mafia e che rimanderebbero a trafficiilleciti(leggi:armi)fraItalia e Somalia negli anni Ottanta.