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 2011  gennaio 30 Domenica calendario

MUBARAK SI AGGRAPPA AI GENERALI

Al celebre caffè Riche, tra boiserie e ritratti di Mafhouz, a un passo da piazza Tahrir, uno spettatore molto interessato guarda le ultime notizie in tv. «Omar Suleiman, vicepresidente, Ahmed Shafik primo ministro». Abdel Meguid sospira con una smorfia di disgusto: «Non è quello che si aspettano gli egiziani: vogliono l’uscita di scena del presidente, non le stesse facce che vedono da trent’anni».

A poche centinaia di metri i manifestanti sfidano il coprifuoco e si abbarbicano trionfanti sui carri armati dei soldati, accolti dalla folla come liberatori. Dietro al Riche si alza una colonna di fumo: qui c’è il ministero degli Interni, sotto attacco: sul terreno, tra le raffiche della polizia, restano tre morti, forse cinque. Contare le perdite è difficile: i corpi vengono trascinati via subito e gettati come sacchi sui cellulari, senza che si senta mai l’ululato della sirena di un’ambulanza.

La festa e la tragedia, i fiori e le pallottole, sono divise da un isolato di distanza, per incontrarle uscendo dal Riche basta scegliere se andare a destra o a sinistra. «Non credo che questi due vecchi compagni di strada riusciranno a salvare Mubarak», dice Ibrahim Abdel Meguid, mentre sorseggia l’ultimo caffé. È famoso per un libro, tradotto anche inglese, "Nessuno dorme ad Alessandria" e per "La Casa dei Gelsomini", un’indagine sulla società egiziana. «Purtroppo - dice - qui non vedo ancora i gelsomini della rivoluzione di Tunisi». E si infila una sciarpa per affrontate i lacrimogeni.

Al Cairo, Alessandria, Suez, infuriano gli scontri: in questi due giorni il bilancio ufficiale è di 56 morti, un centinaio secondo le tv arabe, stima molto più vicina alla realtà perché i feriti sono migliaia. I segni della battaglia nel centro della capitale, dopo il venerdì della collera, sono ovunque: auto carbonizzate, l’edificio del partito di Mubarak che continua a soffiare dalle finestre fumo e fiamme, i negozi saccheggiati, pompe di benzina distrutte. Il Museo egizio - lo riferivamo ieri - è stato danneggiato e sembra che qualcuno abbia portato via due mummie. Come avvenne a Baghdad, quando nel 2003, crollato Saddam, si raccoglievano per strada i frammenti di pergamene babilonesi. Il saccheggio della cultura è uno dei segnali peggiori del caos.

La polizia, sempre più nervosa e frustrata, che in un impeto d’ira assesta quattro manganellate e qualche calcio anche all’auto del mio autista, ha lasciato il posto ai tank dell’esercito nei punti strategici: ma questa non appare una soluzione che può durare a lungo. Fino a quando i militari resteranno a farsi fotografare come souvenir portando a spasso sui carri armati gli eccitati giovani delle periferie?

Quella di Mubarak è un chiamata alle armi dei fedelissimi: per la prima volta nomina un vicepresidente, Omar Suleiman, capo dei servizi segreti da un quarto di secolo, mentre la guida del governo è assegnata ad Ahmed Shafik, generale dell’aviazione, compagno di volo del presidente nel 1973, durante la guerra del Kippur contro Israele. Se si pensava a qualche faccia nuova la delusione è forte persino nella borghesia più moderata: l’Egitto si deve rassegnare a volti rugosi che conosce fin troppo bene. «È un maquillage del potere fin troppo evidente, come rifarsi il trucco con il cerone», commenta sarcastico Abdel Meguid.

Più o meno quello che pensa anche Mohammed ElBaradei, l’ex capo dell’Aiea riapparso in pubblico con un’intervista ai media arabi: «Non basta un cambio di figure al vertice per evitare il collasso e anche una soluzione militare non appare sufficiente. Mubarak - ha aggiunto - deve lasciare».

Il presidente si gioca la carta dei militari e degli apparati di sicurezza, una scelta che non viene certo ritenuta un’apertura alle riforme sollecitate, con qualche convinzione, anche dagli alleati americani. Le ipotesi sono due: o tenta di restare nel stanze del potere, trasformate in un bunker impenetrabile alle proteste di piazza, o chiede a questi due uomini di fiducia di creare le condizioni per una sua uscita di scena che non ricordi quella del tunisino Ben Ali. Il primo scenario sembra più probabile ed è accompagnato dall’annuncio del presidente del parlamento che non ci saranno a breve altre elezioni.

Intanto i parenti di Mubarak, la moglie e i due figli Gamal e Ala, secondo alcune voci si sarebbero rifugiati a Londra; e la tv al Jazeera in serata ha affermato che 19 jet privati hanno raggiunto Dubai con a bordo figure di spicco dell’economia egiziana. Crepe preoccupanti si intravvedono anche nel fortino dei consiglieri di Mubarak: si è dimesso Ahmed Ezz, segretario generale del Partito democratico, intimo amico del figlio Gamal, figura di spicco in un entourage di happy few in odore di corruzione: ha mollato quando i dimostranti gli hanno bruciato le fabbriche di Mohandissin.