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 2011  gennaio 30 Domenica calendario

MA UN RICORSO ALLA PATRIMONIALE PUNIREBBE SOLTANTO IL CETO MEDIO

Nella storia della politica italiana l’ipotesi di un’imposta patrimoniale straordinaria sta tutta dentro l’album di famiglia della sinistra. E’ stato un argomento importante della propaganda del Pci per almeno 30 anni. Ogni tanto rispuntava fuori non solo in rapporto a una specifica congiuntura economica ma anche per alimentare quel populismo mite che ha fatto le fortune dei comunisti italiani. Un flash su tutto: nel novembre del ’ 76 Pci e Psi tennero un’apposita riunione congiunta per mettere a punto e proporre l’imposta sui patrimoni immobiliari. Nelle due delegazioni figuravano personalità di spicco come Giorgio Napolitano, Giuseppe D’Alema, Luigi Spaventa, Fabrizio Cicchitto e Nerio Nesi. Se vogliamo a prevalere era una sorta di schema Robin Hood, togliere ai ricchi e dare ai poveri. Anche le sinistre europee hanno flirtato a più riprese con la patrimoniale. Un’icona come François Mitterrand ne fece uno dei provvedimenti-cardine del programma comune di governo e approdato all’Eliseo la promulgò. Oggi da noi di patrimoniale si ri-parla molto e il Pci c’entra assai poco. Il primo lampo che ha illuminato la scena lo si deve a Giuliano Amato, a cui è seguito un intervento del banchiere cattolico Pellegrino Capaldo. I due hanno avanzato proposte tecnicamente assai differenti tra loro (vedi box) ma analoghe nell’indicare l’obiettivo: un’operazione straordinaria tesa ad abbattere con un colpo secco il maxidebito italiano e riaprire così la strada alla possibilità di finanziare la crescita, seppur con giudizio. «Chi propone la patrimoniale oggi non lo fa in nome di una visione politico-culturale. La intende come un provvedimento di scopo motivato da circostanze specifiche e da una tassazione come quella italiana che si appunta più sul reddito che sulla ricchezza» commenta lo storico dell’economia Gianni Toniolo. Uno sguardo ai nomi che propendono per la tassa straordinaria avvalora la sintesi di Toniolo. Oltre ai promotori Amato e Capaldo spiccano Lamberto Dini, Romano Prodi, Walter Veltroni, Luigi Abete e Susanna Camusso che pur con differenti accenti e motivazioni arrivano anch’essi alla stessa conclusione. «Meglio una botta secca che la politica della formichina» è il loro messaggio. Non è dunque la riproposizione dello schema populista ma la convinzione che il riformismo illuminista, top down direbbero gli anglofoni, sia ancora efficace in tempi di post-politica. Spiega a freddo Amato: «Ho avanzato la proposta in chiave del tutto razional-pragmatica. Con un debito così alto e per stare sul filo dell’accettazione da parte dei mercati, stiamo dissanguando lo Stato e tutti i suoi servizi» . Abbiamo una macchina pubblica che esiste solo per pagare gli stipendi. «Non è meglio allora— incalza l’ex premier— dare una botta al debito, portarlo in una zona più sicura, avere spread meno pesanti e poter programmare il futuro?» . Tutto qua. «Se sto dicendo cose di sinistra, immagino che Quintino Sella dovremmo iscriverlo a Sinistra e libertà» . Il ministro Giulio Tremonti per sensibilità politico-istituzionale è stato ben attento a non far trapelare la sua opinione in proposito, ma nonostante la battuta attribuitagli («per me la proprietà è sacra» ) c’è chi lo annovera tra i favorevoli. Per restare alle cose acclarate va sicuramente segnalato l’intenso lavoro del professor Marco Fortis, molto vicino al ministro dell’Economia. Nel dibattito di politica economica Fortis ha introdotto il tema del cosiddetto debito allargato, ovvero le autorità europee dovrebbero considerare non solo l’indebitamento pubblico ma anche quello privato e in questo caso la virtù delle famiglie italiane mitigherebbe i nostri vizi pubblici. In dicembre era sembrato che Bruxelles avesse accettato questa impostazione ma poi non se ne è saputo più niente. Vale la pena allora raccontare un episodio rivelatore. In un dibattito pubblico, organizzato a Milano dalla Fondazione Edison, Fortis alla presenza di Romano Prodi ha riproposto le sue tesi e si è trovato davanti a un’osservazione sibillina del professore bolognese: «Marco, per compensare ricchezza privata e debito pubblico c’è una sola strada, la patrimoniale» . La sortita del duo Amato Capaldo non è piaciuta affatto ai liberisti duri e puri. Da Antonio Martino a Franco Debenedetti, da Alberto Alesina all’istituto Bruno Leoni è stato tutto un «vade retro, Satana» . Nel fronte del no si è anche iscritto nientedimeno che il premier in carica Silvio Berlusconi, che ha declinato le sue perplessità in un’intervista al «Foglio» . Le critiche dei liberisti si possono raggruppare per comodità in quattro argomenti: a) nuove tasse deprimerebbero comunque l’economia; b) non abbiamo gli strumenti per calibrare il prelievo per cui alla fine a pagare non sarebbero i veri ricchi; c) ci si deresponsabilizza dal dimagrimento della spesa pubblica; d) meglio privatizzare il patrimonio immobiliare e no dello Stato. In tutta franchezza, e pur rispettando il coraggio dei riformisti indomiti, le critiche liberiste colpiscono il segno. E’ chiaro che il debito andrebbe abbattuto in tempi brevi per uscire dall’italica maledizione della crescita bassa, ma siamo sicuri che la patrimoniale si riveli una «bomba intelligente» e invece non finisca per colpire coloro che le tassa le pagano già abbondantemente? Un Robin Hood che alla fine se la prendesse con il ceto medio perderebbe la faccia. E se invece scegliessimo, come propone Capaldo, la via immobiliare alla riduzione del debito abbiamo in dotazione la strumentazione adatta per operare con equità? Oppure, come ha obiettato un attento conoscitore della macchina fiscale come Tommaso Di Tanno su «Milano Finanza» , si finirebbero per tassare le persone fisiche e non le società che hanno i patrimoni immobiliari più consistenti e ricchi? E ancora, cosa ci vieta di mettere direttamente sul mercato il mattone di Stato e le Spa pubbliche? Grazie, dunque, ad Amato e Capaldo per aver riconnesso l’agenda pubblica con le vere priorità del Paese ma qui ed ora vien da dire: «Patrimoniale? Preferirei di no» .
Dario Di Vico