GIANNI CLERICI, la Repubblica 30/1/2011, 30 gennaio 2011
TROPPO FACILE, DJOKOVIC MURRAY NON È TIPO DA SLAM
Aridatece Nadal contro Federer. Nessuna, dico nessuna delle loro ventidue partite è stata moscia quanto la finale del Grande Slam di domenica sera, vinta da Djokovic per le sue qualità amministrative, e perduta da Murray per una presupponenza certo superiore al talento.
Dopo aver ancora votato a favore della regina Elisabetta nel 1999, gli aussies avevano, pur educatamente, preso le parti dello scozzese, non certo quelle di un serbo sostenuto soprattutto da gruppuscoli calcistici della ultima generazione di immigrati. Annusando il successo, il primo dopo quello di Wimbledon di Perry nel 1936, il Times di Londra aveva addirittura spedito qui il suo miglior columnist, quel Simon Barnes che certo sciupa il suo talento nel giornalismo. Temo che le sue considerazioni non saranno meno luttuose delle mie. Nonostante gli isterismi della mamma allenatrice in tribuna, Andy ha disputato una scoraggiante partita, senza riuscire minimamente a trovare un´idea tattica che potesse scalfire la solidità della difesa attiva adottata da Djokovic.
Par giusto ricordare, per i lettori non aficionados, che il serbo già aveva vinto uno Slam a Melbourne, tre anni addietro, battendo in finale uno Tsonga che pareva a molti, e non solo per il suo sangue misto, l´erede di Yannick Noah. Dopo di ciò, con tutto il suo talento di attore protagonista, Nole Djokovic era rimasto a galleggiare dietro ai semidivini Federer Nadal, ma è onesto dire che Murray, più che resuscitare il fantasma di Perry, era parso una sorta di gemello di Henman, un tipo incapace a vestire i panni del winner, per la delusione di un intero paese, bene o male il paese titolare di un certo Wimbledon. Ma par giusto ritornare per qualche riga al presente, anche se, forse, il livello del gioco non lo meriterebbe. I due erano arrivati in finale smarrendo Murray due soli set contro la rivelazione Dolgopolov e il ciclista Ferrer, e uno soltanto Nole, perfino immacolato nell´incontro con il Federer dei poveri.
Nei loro testa a testa, Djokovic aveva vinto i primi quattro match, ma Murray pareva aver trovato la giusta chiave tattica attribuendosi gli ultimi tre. A monte di ciò, lo scozzese non aveva mancato di ricordare un primo confronto infantile, nel torneo Petits As di Tarbes, che avrebbe causato un trauma al piccolo Nole per un dodici a uno. Anche in questa sua affermazione, Andy non si è certo dimostrato all´altezza di Freud. Fin dal primo set un Djokovic solidissimo ha saputo evitarne gli attacchi bloccandolo sulla linea di fondo per lunghezza e continuità di tiri. Contro una simile regolarità attiva sarebbe stata necessaria ad Andy una tattica di attacco, o una superiore potenza, ma lo scozzese non ha saputo mostrare altro che stizza o occasionale ribellione.
L´unico istante di dubbio sarebbe giunto quando, vistosi perduto, Murray si sarebbe spinto finalmente a rischiare, e sarebbe risalito da uno tre a tre pari nel terzo. Ma quell´accenno di ribellione smoriva presto, e Djokovic concludeva quella sorta di allenamento agonistico con disinvoltura, concendendosi nel dopopartita le eleganze che già aveva mostrato, da noi, nei suoi duetti con Fiorello. Fine, ahinoi, scoraggiante di un torneo che ha portato in questo grande stadio seicentocinquantamila spettatori. Mica male, l´affluenza. Meno buono il tennis, sempre più simile a un videogioco.