Franco Gàbici, Avvenire 30/1/2011, 30 gennaio 2011
E GAGARIN MANDÒ L’UOMO IN ORBITA
Jurij Alekseevic Gagarin si rese conto che sarebbe entrato nella storia solamente al mattino di quel 12 aprile 1961, quando l’istruttore lo svegliò alle 5.30 per comunicargli che toccava a lui, giovane pilota ventisettenne dell’aeronautica sovietica (era nato in Georgia nel 1934), entrare nella Vostok per essere lanciato nello spazio. Gagarin, infatti, faceva parte del gruppo di una ventina di piloti selezionati per la missione e la decisione cadde su di lui per queste motivazioni: «Patriottismo illimitato, fede assoluta nel successo del volo, eccellente salute, inestinguibile ottimismo, intelligenza flessibile e curiosa, coraggio e decisione, pignoleria, inventiva, autocontrollo, semplicità, modestia, grande calore umano e rispetto per gli altri». La capsula Vostok, che sarebbe stata messa in orbita alle 9.07 (ora di Mosca) dal cosmodromo di Tjuratam-Bajkonur (lo stesso dal quale era partito lo Sputnik, primo satellite artificiale della storia), era stata issata in cima al razzo A-1 (V) a un’altezza di 38 metri e Gagarin, che indossava una tuta-scafandro di color arancione, fu steso e legato a un seggiolino eiettabile davanti a un oblò panoramico. Il primo cosmonauta della storia, che aveva seguito un addestramento di tre anni, fu sottoposto a una accelerazione di 8g (un «g» corrisponde alla «accelerazione di gravità» e vale 9,8 m/sec) che lo portò a volare intorno alla Terra lungo un’orbita ellittica alla velocità di 28 mila km/h. La Vostok, che pesava quasi 5 tonnellate, effettuò una intera orbita attorno alla Terra in 88 minuti raggiungendo la massima distanza di 302 km e la minima di 175. Lo spettacolo era assicurato e le impressioni di Gagarin, che per l’occasione aveva scelto il soprannome Kedr («cedro»), sono diventate famose quanto la sua impresa: «È bellissima la Terra. La vedevo circondata da un’aureola azzurra, e facendo scorrere lo sguardo fino al cielo passavo dall’azzurro al blu, al turchese, violetto, e alla notte fonda». Il volo di Gagarin terminò alle 10.20, ma quell’ora trascorsa nello spazio fu più che sufficiente per trasformare il primo cosmonauta in un eroe dell’Unione Sovietica. E come tutti gli eroi anche Jurij ebbe un tragico destino. Morì, infatti, in un incidente aereo durante un ordinario addestramento nel marzo del 1968.
Avrebbe potuto salvarsi facendosi catapultare dalla carlinga, ma l’aereo stava puntando pericolosamente sulle case di un villaggio e quel suo «grande calore umano e rispetto per gli altri» lo indusse a restare ai comandi per evitare il disastro.
Associare la sua fine al mito di Icaro è considerazione banale. Non fu banale, invece, quella sua impresa. Luigi Barzini jr.
scrisse che quello di Gagarin fu un trionfo «anzitutto russo, poi sovietico, e, infine, umano». Una vittoria dell’uomo e della sua intelligenza, dunque, un evento davvero epocale: «Oggi stesso – commentava ancora Barzini – la storia ha preso una svolta, molte decisioni si stanno impercettibilmente modificando, molte idee non sono più quelle di prima, nell’Oriente comunista come nell’Occidente libero». Con Gagarin l’uomo entrava davvero nella nuova era dello spazio.