Maurizio Serra, Libero 30/1/2011, 30 gennaio 2011
CURZIO, ASCETA CON IL VIZIO DI DORMIRE DENTRO L’AUTO
Chi è Lino Pellegrini?
«Un ragazzo della provincia di Treviso che aveva una grande voglia di vedere il mondo e che, grazie a Dio, ne ha visto molto. Con il bello e cattivo tempo». Quando ha deciso di diventare giornalista e soprattutto inviato speciale?
«Nel corso dei miei studi di diritto. Ho cominciato dalla gavetta. Poi mi hanno assunto al Popolo d’Italia e quando è scoppiata la guerra mi hanno inviato all’estero, a seguire le nostre truppe. D’altronde io stesso ero un militare, tenente dei carristi».
Il “Popolo d’Italia” era il quotidiano fondato da un Mussolini ancora socialista, divenuto poi organo del partito fascista. Quindi lei era fascista?
«Sì, e non l’ho mai negato».
Dove e quando ha incontrato Malaparte?
«Nel marzo del 1941 a Sofia, davanti alla Legazione d’Italia, diretta dal ministro Magistrati, cognato di Ciano. Lui, era già il grande reporter del Corriere della Sera. Gli ho chiesto un po’ goffamente: “Perché ti fai chiamare Malaparte?”. E mi ha risposto: “Perché Bonaparte esisteva già”. Ci siamo stati subito simpatici. Io ero praticamente un novizio, e a differenza dei colleghi più esperti, non potevo fargli ombra. In più parlavo il tedesco fin da piccolo, mentre lui non ne conosceva una parola. Gli ero quindi molto utile per seguire la Wehrmacht». (...)
Qualche anno fa lei ha suscitato un ampio dibattito sostenendo che la prima versione di Kaputt era filo-tedesca.
«A Helsinki, dove ci siamo trasferiti, io alla fine del 1941 e lui agli inizi della primavera del 1942 e dove saremmo rimasti insieme per quasi otto mesi, egli mi mostrò il manoscritto che aveva per titolo God shave the King».
Il titolo è rimasto per un solo capitolo.
«Sì, ma il contenuto era differente, se non opposto, nettamente anti-inglese. E così mi spiegò il titolo: “Capisci, Dio non può più salvare gli inglesi, al più può far loro la barba...”».
Ma se lui era anti-tedesco?
«L’avrebbe scritto per opportunismo. I tedeschi sembravano sul punto di vincere la guerra. Malaparte si vantava con me di ricevere eccellenti emolumenti per le sue collaborazioni con delle riviste tedesche. Cominciò a cambiare opinione verso l’autunno-inverno del 1942, al momento della battaglia di El-Alamein e quando è cominciata l’avanzata militare sovietica, ma le nostre strade stavano per dividersi».
Che tipo di compagno di viaggio era Malaparte? «Eccellente da tutti i punti di vista. Un collega leale, preciso, disponibile».
Non si riteneva una prima donna? Nessun capriccio? «Non con me. La sua sola mania era quella di dormire nella macchina che avevamo noleggiato in Romania. Temeva gli attentati, mentre io dormivo dagli abitanti dei villaggi, in qualche isba e non ho mai avuto problemi. Ma il mattino era fresco e vivace nella sua uniforme di ufficiale degli Alpini, perfettamente curato. Non l’ho mai visto con la barba lunga o la divisa sgualcita. Era ugualmente molto meticoloso con il suo equipaggiamento e abbastanza taccagno. Una delle rare volte che l’ho visto con i nervi a fior di pelle è quando ha perso la sua macchina fotografica, una preziosa Contax».
Almeno si confidava con lei?
(...) «Non ha mai evocato la sua famiglia, i suoi amici influenti, le sue esperienze. Anche all’hotel Torni, a Helsinki, dove le nostre camere erano su due piani differenti, ma praticamente una sopra l’altra, lui alla 213, e mia moglie ed io alla 313, ci separavamo subito dopo cena e lui andava a dormire presto».
Non si dava alle gozzoviglie con tutti?
«Glielo ho detto, era un tipo riservato. E sobrio, quasi ascetico: mangiava con moderazione, beveva e fumava pochissimo, e soprattutto per darsi un tono, quando lo si fotografava. Con tratti da zitella: una volta è andato su tutte le furie perché mia moglie e io eravamo felici e facevamo un po’ troppo rumore. Il giorno dopo ho dovuto scusarmi».
Lei era sposato da poco, lui no. Era preceduto dalla fama di donnaiolo...
«Senta, le rispondo ripetendole quello che lui stesso mi ha detto allora: “Tutte le volte che vai con una donna, è un giorno di vita in meno”. Testuale. Non l’ho mai visto corteggiare una donna, si mostrava galante con la mia, ma niente di più. Mai».
Si dice che si servisse di pillole a base di ormoni per attenuare gli istinti amorosi...
«Diciamo le cose come stanno: era votato alla scrittura. Ma si prendeva cura della sua prestanza fisica. Adorava la sauna e, siccome era un bell’uomo, non gli dava fastidio che lo si potesse vedere nudo. Peraltro era una pratica diffusa là».
(...) Che rapporto aveva con gli animali?
«Non le dico niente di nuovo dicendo che erano la sua grande passione. Mi limito a due esempi. Una volta abbiamo incrociato alcuni camion tedeschi che trasportavano dei cavalli feriti verso una stazione veterinaria nelle retrovie. Malaparte si è precipitato in un campo vicino, ha raccolto una balla di fieno ed è tornato velocemente per dar da mangiare ai cavalli. Poi mi ha detto: “Penso sempre al mio cane Febo che mi aspetta a Capri. Quando morirà, io morirò con lui”. (...) Un’altra volta, a Helsinki, gli ho fatto un brutto scherzo. Gli ho passato una bel cappotto di pelliccia intorno alle spalle e un po’ inquieto mi ha chiesto da quale bestia provenisse. “Pelo di cane”, gli ho risposto. Ho pensato che svenisse».
Vi siete separati nell’ottobre del 1942. Quando vi siete rivisti?
«Dieci anni dopo, a Milano, nel giugno del 1953.»
(...)
Non avete pensato di riprendere a collaborare?
«No, il passato è passato. Un altro interludio di qualche anno. Sono in viaggio per il Congo Belga per una delle mie spedizioni. L’aereo partito da Milano fa scalo a Roma e ne approfitto per andare a trovarlo in clinica. Sapevo che le cose non andavano bene e in effetti lo trovo logorato dal cancro. Mi accoglie parlando con voce squillante e tutto contento che il Papa, il leader comunista Togliatti, il presidente del consiglio Fanfani, la stampa di tutto il mondo si preoccupano della sua salute. Ma sta veramente male, soffre e non riesco a sollevargli il morale. (...) All’improvviso il telefono squilla, si precipita sopra, è il patron del Tempo: “Sono con Pellegrini. È venuto apposta dal Congo per vedermi”... Non era cambiato, nemmeno sul letto di morte».