Giampaolo Pansa, Libero 30/1/2011, 30 gennaio 2011
DIECI MILIONI DI ROSY BINDI
Al di là del titolo scherzoso di questo Bestiario, devo ringraziare l’onorevole Rosy Bindi, presidente del Partito democratico. Nessuno ci aveva mai spiegato la crisi profonda che squassa il Pd come ha fatto lei giovedì sera ad “Annozero”. Con il suo stile di signora dall’intelligenza cocciuta, volitiva, un tantino
fondamentalista. Rivelandoci che la rinascita dei democratici inizierà dalla raccolta di dieci milioni di firme per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi.
La cifra indicata da Rosy mi ha spinto al sorriso. La colpa è dei miei capelli bianchi, capaci di evocarmi un’altra cifra: i dieci milioni di baionette che Mussolini garantiva di avere, in grado di fargli vincere la seconda guerra mondiale. Certo, la firma è un’arma più civile e pacifica della baionetta. Eppure anche il suo effetto mi sembra dubbio. Bene, in dieci milioni firmeranno. E poi?
Ad “Annozero”, qualcuno degli altri ospiti, per primo Paolo Mieli, ha osservato alla Rosy che forse era meglio raccogliere dieci milioni di voti e non di firme. Mi è sembrata un’obiezione sensata, ma si prestava anch’essa a un dubbio. E il dubbio emerge da un piccolo confronto numerico, che riguarda tanto il centro-sinistra quanto il centro-destra.
Nelle ultime elezioni politiche, quelle del 2008, Walter Veltroni, candidato premier del Pd, raccolse 12 milioni 92 mila voti. Ma perse la battaglia contro Berlusconi. Dal momento che il Cavaliere venne scelto da 13 milioni 628 mila elettori. Dunque i dieci milioni di firme sono un obiettivo magro, al ribasso. E forse, a conti fatti, non varrà la pena di aver speso tante energie per raccoglierle.
Eppure la mobilitazione che sembra così importante alla Rosy sarà davvero imponente. Ce lo conferma quanto si prepara in una regione rossa: la Toscana. Qui il segretario regionale del Pd, Andrea Manciulli, ha dato al partito un obiettivo grandioso: raccogliere un milione di firme, lo stesso numero di voti ottenuti dal partito toscano nelle elezioni del 2008. “Sarà una campagna a tappeto” garantisce Manciulli. “Nei gazebo fuori dalle stazioni ferroviarie, nei centri commerciali, nelle strade e nelle piazze, nei circoli aperti, nelle case del popolo, nei condomini”.
A che cosa servirà questo sforzo immane del Pd? La mia risposta è semplice: a niente. Nel senso che non convincerà di certo il Cavaliere a mollare il mazzo per ritirarsi a vita privata. Ma soprattutto non aiuterà a spegnere l’incendio che sta divampando nella politica italiana. Non a migliorare il clima civile. Non a distendere gli animi dei contendenti, sempre più accesi e l’uno contro l’altro armati, per ora soltanto di parole.
Venerdì sera, nel succedersi dei telegiornali che mostravano le immagini terribili della rivolta in Egitto, ho sentito citare una dichiarazione di Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd sosteneva che Berlusconi dovrebbe guardare con attenzione a quanto accade in Africa settentrionale. Spero di aver sentito male. Ma se le sue parole erano davvero queste, le considero incaute e pericolose. Per fortuna nostra, l’Italia è una democrazia, non un copia della Tunisia o dell’Egitto. Tuttavia anche da noi lo scontro politico sta raggiungendo livelli di rischio mai visti prima. Ce lo dicono molti segnali che fanno tremare. Non esiste soltanto il duello rovente tra il Cavaliere e una quota importante della magistratura. Anche in Parlamento e tra i partiti si va diffondendo l’aria pesante del tutti
contro tutti. È sufficiente guardare qualche giornale e un
paio di tigì per comprendere che è in atto una svolta quasi militare, dagli esiti imprevedibili. Stiamo per entrare in un ciclo perverso, che in cinquant’anni di lavoro da cronista politico non avevo mai visto. Neppure ai tempi di Tangentopoli. Oggi avverto un’aria da ultima sfida. O lui o io. O loro o noi. E le adunate in difesa dei magistrati, come quella proposta da Michele Santoro dinanzi al Palazzo di giustizia milanese, servono soltanto a gettare benzina sul fuoco. Soprattutto se nello stesso giorno, sempre a Milano, ci saranno altre piazze contrarie.
Come si può uscire da questo labirinto che promette soltanto sciagure? A mio parere il modo è uno solo: i due blocchi, più il blocchetto centrista, hanno l’obbligo di sottoscrivere un armistizio. E smetterla subito di combattersi. Questo non significa negare a Berlusconi il diritto di difendersi dalle accuse del pool giudiziario di Milano. Il premier deve poter fare tutto ciò che ritiene necessario per la propria salvezza personale. Ma anche lui, anzi soprattutto lui, proprio in virtù del suo incarico, ha il dovere di pensare all’interesse della nazione che guida e a quello degli elettori che lo hanno votato: gente pacifica, che non vuole guerre.
Questo interesse impone di trovare una via di mezzo, un accordo temporaneo, un’intesa provvisoria per uscire dalla trappola in cui siamo cascati tutti. Destra, sinistra e centro debbono far incontrare i loro stati maggiori, alla presenza del presidente del Consiglio. Con l’impegno di guardarsi in faccia, per domandarsi che cosa fare per impedire lo sfascio totale. E per riconoscere che questa condizione di scontro politico permanente ci porterà al disastro.
Credo sia questa la strada giusta per pacificare il paese. E penso pure che sia l’ultima speranza realistica. Adesso o mai più. L’aria non è mai stata così fetida. Temo sempre di sentir suonare l’ultima campana. Ho vissuto da cronista e da possibile vittima l’intero ventennio del terrorismo. Non ho mai avuto paura. Adesso ce l’ho.