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 2011  gennaio 29 Sabato calendario

CORTE COSTITUZIONALE LA NASCITA E IL FUNZIONAMENTO

Mi riferisco alla sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento. Da quanto ho capito la Corte ha modificato la norma stabilendo che il giudice deciderà se il presidente del Consiglio e i ministri sono effettivamente impediti a partecipare alle udienze in tribunale. Se le cose stanno così la Corte ha emanato una nuova norma. E questo non rientra fra i suoi poteri che, secondo la Costituzione (art. 134 c. 1), sono quelli di verificare la legittimità o la illegittimità costituzionale di una norma. Le norme le fa il Parlamento. La Corte non ha il potere di introdurre surrettiziamente nuove norme (cosa che mi sembra abbia già fatto in passato).
Pietro Volpi
pietrovolpi@virgilio.it
Caro Volpi, in un libro apparso recentemente presso Longanesi («L’Assedio» ), Michele Ainis, uno dei migliori costituzionalisti italiani, ricorda che nell’Assemblea costituente Nenni e Togliatti erano «caparbiamente ostili al tribunale costituzionale, a meno che tutti i suoi membri non fossero scelti dalle Assemblee rappresentative» . Sia il leader del partito socialista, sia quello del partito comunista erano convinti che la Corte avrebbe avuto inevitabilmente un ruolo politico e volevano che la sua composizione rispecchiasse gli equilibri delle forze presenti in Parlamento. In un’altra parte del libro, Ainis scrive che la scelta dei cinque giudici costituzionali di nomina presidenziale, secondo Meuccio Ruini, spettava all’esecutivo «poiché la Costituzione italiana non contempla atti del capo dello Stato che egli possa compiere senza la responsabilità e la firma di un ministro» . Ricordo che Ruini presiedette la Commissione dei settantacinque, vale a dire l’organo dell’Assemblea costituente a cui fu affidato il compito di preparare un progetto, e può quindi essere considerato, senza enfasi retorica, un padre della Costituzione. Prevalse invece la tesi secondo cui il presidente della Repubblica può fare le sue scelte autonomamente, ma ciascuno di questi episodi dimostra implicitamente, come scrive Ainis, «che ogni sentenza di costituzionalità ha carattere politico» . Non dobbiamo sorprenderci, quindi, se la Corte esprime giudizi in cui è spesso presente una dose non dichiarata di pensiero politico. Alcuni giudici provengono dal mondo accademico, altri dalle professioni forensi, altri ancora dall’esercizio di funzioni politiche. Tutti respirano l’aria del Paese e non possono ignorare gli effetti delle loro decisioni. A differenza di quanto sembrano pensare alcuni teologi del diritto, le leggi e le loro interpretazioni sono creazioni storiche, materia di esigenze e apprezzamenti che cambiano col passare delle circostanze. Accade negli Stati Uniti, osserva Ainis, dove la Corte suprema avallò la segregazione razziale per molti anni prima di accorgersi, nel 1954, che non era più possibile separare i neri dai bianchi nelle scuole, nei ristoranti, nei mezzi di trasporto. È accaduto in Italia dove la Corte nel 1961 «giudicò legittima la punizione del solo adulterio femminile, ma nel 1968 ci liberò da questa odiosa discriminazione» («L’Assedio» , pagina 202). Aggiungo, caro Volpi, che la Corte è tanto più politica quanto più la politica si aggroviglia in problemi che non riesce a risolvere e che finisce per scaricare, lo voglia o no, sul palazzo della Consulta. Nel caso recente del Lodo Alfano la Corte ha svolto di fatto una funzione arbitrale, vale a dire ha fatto ciò che i politici, in Parlamento, non riuscivano a fare.
Sergio Romano