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 2011  gennaio 29 Sabato calendario

«BASQUIAT E’ L’ASSANGE DELLA PITTURA. I SUOI GRAFFITI SONO COME WIKILEAKS»

Per arrivare fino a lui bisogna passare attraverso un bel po’ d’aria fritta, perché è diventato una leggenda locale e poi globale, e bisogna ignorare gli strilli di un pugno di avvoltoi faccendieri. Se si fosse presentato all’inaugurazione della recente mostra che teoricamente dovrebbe celebrare il suo cinquantesimo compleanno (in realtà è morto a ventotto anni), di certo si sarebbe presentato con vari giorni di ritardo. Tuttavia, quando ci si trova di fronte a quel che Jean-Michel Basquiat ha realizzato, si ha una rivelazione. L’hanno scoperto per conto proprio migliaia di parigini che hanno fatto una coda di un’ora in strada per visitare la mostra allestita presso il Museo d’arte moderna della città. Donne e uomini di ogni età, ma soprattutto giovani. Affrontare la sua opera o esserne affrontati ha ben poco a che fare con la «cultura alta» o da vip, mentre ha moltissimo a che fare con il vedere attraverso le bugie (visive, verbali e acustiche) che oggi si impongono a ritmo continuo intorno a noi. Assistere allo smantellamento e alla distruzione di tali menzogne: ecco in cosa consiste la rivelazione. Il leggendario curriculum vitae di Basquiat evoca qualcosa della sua esperienza esistenziale: un ragazzino haitiano-portoricano di colore, che vive nelle strade di New York cifrandone i muri e più tardi comincia a realizzare dipinti esposti e venduti in tutto il mondo da mercanti d’arte avvoltoi, un ragazzino che per un anno collabora con Andy Warhol dipingendo in modo audace e purissimo sulle medesime tele, un ragazzino che nel giro di dieci anni produce migliaia di immagini in proprio e poi muore di overdose. La sua vicenda biografica e le tante foto che restano di lui permettono di immaginare almeno in parte che cosa deve aver passato, ma dicono poco del segreto della sua arte e di come essa distrugga le bugie che abbiamo attorno. Di solito quando un uomo o una donna vogliono contestare le menzogne da cui sono avvolti o sommersi ricorrono a contro-affermazioni che portano alla luce le verità tenute nascoste. Basti pensare a James Baldwin o Angela Davis che, vissuti in un’epoca storica precedente, essendo neri hanno combattuto contro le stesse menzogne. Basquiat ha scelto una strategia diversa. Ha capito che, vivendo oggi, le bugie nascoste non possono essere descritte con nessuno dei linguaggi utilizzati di continuo per promuovere l’impostura; per lui ogni linguaggio ufficiale era un codice per trasmettere falsi messaggi. La sua strategia di pittore era screditare e fare a pezzi tali codici, lasciando affiorare qualche verità vibrante, invisibile, clandestina. Il suo stratagemma di pittore è affine a certe forme di rap e si collega anche, pur nella differenza, a quel che Julian Assange con WikiLeaks sta facendo da sabotatore. L’artista Basquiat compita il mondo in un linguaggio deliberatamente stentato, ontologicamene stentato. Per maggior chiarezza, pensiamo ai ciechi. (Basquiat aveva uno sguardo acutissimo, eppure il paragone può esserci d’aiuto). Osservate un cieco che si muove in uno spazio pubblico: cammina lungo la via, attraversa la strada, prende l’ascensore, è a bordo della metropolitana, scende dalla carrozza, sale le scale. I ciechi procedono e negoziano il loro percorso rivolgendo domande e ricevendo risposte con tutti i sensi tranne la vista. E a volte procedono e trovano la strada più in fretta e più facilmente di chi ci vede. Sono i suoni, gli spifferi e la temperatura dell’aria, il tocco del bastone con cui tastano il terreno, i piedi e le mani a offrire informazioni e prospettive ai ciechi. Per loro ogni senso ha un proprio linguaggio con cui riconosce e definisce l’esistente. Quel che distingue i ciechi dai vedenti è, però, che i primi ammettono che una larga parte dell’esistente è indescrivibile. Familiare, confortante, odioso o adorabile, essenziale, eppure indescrivibile perché invisibile. Come pittore Basquiat era estremamente consapevole, proprio come i ciechi, che una vasta parte del reale è indescrivibile. Per lui lo scopo in cui sperare, il sacro dovere della pittura era sintonizzarsi con l’invisibile, così come un diagramma anatomico è in sintonia con l’invisibile funzionamento di un corpo vivente. Perché aveva scelto di farlo? Perché sull’invisibile non si può mentire. Uno dei suoi autoritratti fa pensare a un diagramma per assemblare una camicia, un paio di braccia, due rotule, un teschio e qualche scarpone. Lo spazio destinato a lui in quanto uomo è intensamente presente; ma lui, lì dentro, è invisibile, sicché non può essere catturato da nessuna menzogna o cliché ufficiali. Il dipinto Dog and Boy in a Johnnypump è uno schermo di schizzi che sillabano l’eccitazione, la furia, il divertimento di un ragazzino e di un cane che, in un’afosa giornata d’estate a Brooklyn, si bagnano con i getti d’acqua fresca di un idrante. Né il cane né il ragazzo sono però riconoscibili o descrivibili. Non vuol dire che siano sfuggenti; vuol semplicemente dire che sono liberi e che non c’è bugia capace di inchiodarli. Come ha fatto a tradurre in pratica la sua strategia? Che percorso visivo e grafico ha seguito? Si è inventato un alfabeto visivo tutto suo, consistente non di ventisei, ma di centinaia di segni. Tra cui l’alfabeto romano, numeri, figure geometriche, emblemi graffiti, logo, simboli cartografici, pittogrammi, sagome, diagrammi, disegni, con i quali sillaba il mondo. I segni si danno conferma a vicenda. Sicché le quattro lettere romane NOSE (naso) si ritrovano accanto al disegno di una sporgenza con due narici. Mentre le lettere PAW (zampa) si ritrovano sul dorso di una mano. Servendosi di questo alfabeto hip-hop vivace, spassoso, furente e variegatissimo dice a chiare lettere quel che ha visto succedere attorno e dentro di lui. Dà a ogni cosa un nome che non appartiene a nessun linguaggio ufficiale e che nessun linguaggio ufficiale è in grado di pronunciare. E gli eventi rispondono al proprio nome; il riconoscimento è reciproco, ed è visivo e grafico. Nello stesso tempo gli eventi in sé, a differenza del loro nome, restano invisibili. Di conseguenza nessun linguaggio ufficiale è in grado di catturarli; sono liberi. Sono davvero un incitamento alla libertà. In conclusione: ogni figura, animale o oggetto immaginato da Jean-Michel Basquiat ha preso in prestito una T-shirt dalla Morte per diventare inafferrabile, invisibile e libero. Da cui l’euforia. Le sette lettere MANDIES (l’uomo muore), ripetute in molti dei suoi ultimi dipinti, si ritrovano su varie tele accanto all’artiglio di un corvo. Da cui, anche, l’immensa solitudine di Basquiat.
John Berger
(traduzione di Maria Nadotti)