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 2011  gennaio 29 Sabato calendario

«NON VOGLIO MONUMENTI». IL GRAN RIFIUTO DI KOHL —

Grazie, ma preferisco di no. Se da due mesi la città di Dresda s’interroga «costruire o no un monumento a Helmut Kohl?» , e da destra e sinistra si valuta se non sia di cattivo gusto o prematuro un simile onore, è l’ex cancelliere alla fine a dire di non gradire: «Può sembrare strano, ma nessuno me l’ha chiesto» . E quindi lasciate stare, consiglia in una rara apparizione nello Saarland, «meglio mettere una targa per chi partecipò alle proteste» che fecero crollare il Muro. Però, per quanto Kohl scelga di restare nell’ombra, in cui una decina d’anni fa l’hanno spinto i colleghi di partito e dove ora, dopo una rovinosa caduta e una lunga malattia, si trova a suo agio, la Germania ha all’improvviso una gran voglia di discutere della sua eredità. Di capire finalmente quanto d’oscuro, e anche tragico, c’è stato dietro la pubblica vita d’un gigante. D’altronde, ci può essere occasione migliore dell’(auto) biografia, scritta dal tormentato figlio Walter, «Leben oder gelebt werden» (più o meno, vivere o essere vissuti) in uscita il 14 febbraio, e già recensita da tutti i giornali? Un libro che rompe un tabù, «perché mai — come s c r i v e i l Frankfurter Rundschau — in Germania un figlio ha scritto su un padre politico?» . Kohl commemorato, Kohl denudato. Semplice, in fondo, la vicenda di Dresda. Un sindaco della Cdu, Helma Orosz, che decide di dedicare la prima statua a Kohl. Davanti alla Frauenkirche, dove il cancelliere il 19 dicembre 1989 pronunciò quasi a braccio di fronte a 100mila persone una delle sue frasi più celebri: «Il mio scopo resta— quando lo permetterà l’ora della Storia — l’unità della Nazione tedesca» : la marcia iniziò quel giorno. Eppure, l’idea del sindaco a Dresda non ha sfondato: contrari verdi, socialdemocratici («culto della personalità» ) e opinione pubblica: e allora, forse, Kohl ha solo tolto tutti dall’imbarazzo. Intricata, al confronto, e probabilmente dolorosa per l’ex cancelliere, l’autobiografia del figlio Walter: 47 anni, un indirizzo che porta in Asia, un business nel commercio di auto. Eppure, non è una provocazione guascona, di quelle che Ron Reagan lanciava al padre Ronald, in un’America abituata a questi spettacoli. Piuttosto una lettera a un padre con cui da anni s’è perso il contatto (Kohl non parla più neppure con il secondo figlio, Peter). «Volevo sempre vivere la mia vita— dice Walter— e non ce l’ho fatta» . Ma anche il ritratto d’un uomo anaffettivo, incapace di parlare di cose personali. «La sua vera famiglia si chiamava Cdu, non Kohl. Si sentiva, in senso arcaico, un capo clan d’una confraternita» . Un ospite, quando veniva a casa. «In un certo senso, eravamo spettatori della sua vita, che potevamo vedere ogni giorno in tv» . Non a caso, Walter adora la madre Hannelore, poi ammalatasi di una grave forma d’allergia alla luce e morta suicida nel 2001: («Quando ho visto mia madre, la donna che mi ha regalato la vita, sdraiata sul letto, la morte non aveva più nulla di pauroso» ). Ecco, perfino allora, ad avvertire Walter del suicidio non è Kohl, ma il suo capo di gabinetto. Così come un telegramma lo avviserà, nel 2006, che il padre s’è risposato con Maike Richter, di 34 anni più giovane. «Per decenni— dice Walter — ho sperato d’avere una sola volta un dialogo vero con papà. Ora so che non l’avremo mai» . Perché ha scritto il libro? Per me stesso, dice, non certo per vendetta. Ma è difficile a volte, anche per gli ex cancellieri, impedire monumenti che non vuoi.
Mara Gergolet