Federico Fubini, Corriere della Sera 29/01/2011, 29 gennaio 2011
RAJAN: RIVEDO GLI STESSI ERRORI CHE HANNO PORTATO ALLA CRISI
Davos Raghuram Rajan si ferma qualche minuto a parlare nei corridoi di Davos con Jagdish Bhagwati. Sono entrambi indiani, ma parlano in inglese: sono i due intellettuali globali più celebri che l’India abbia prodotto ultimamente. Bhagwati è un anziano docente della Columbia. Rajan è una star quarantenne in piena ascesa: docente a Chicago, già capo-economista del Fmi, da pochi mesi ha pubblicato un libro che ha fatto il pieno di premi. Si intitola Fault Lines («Linee di faglia» ) e spiega come la tecnologia alimenta le diseguaglianze che poi hanno prodotto la crisi. Intende dire che la tecnologia è in evoluzione troppo rapida perché le nostre società riescano ad adattarsi? «La rapidità del cambiamento tecnologico mette un’enorme pressione sulle società moderne. E se si dà alla gente la possibilità di scegliere, moltissimi non vorrebbero mai essere costretti a cambiare e a farlo così in fretta. Tutti pensano che sia più sicuro restare con i vecchi strumenti. Ma la ragione per cui le tecnologie vengono adottate spesso — non sempre — è che facilitano le cose. Tenerle a freno finché la società non è pronta può essere impossibile. La tecnologia è come i flussi finanziari: aggira sempre le barriere» . C’è un’élite capitalistica la cui ricchezza è sempre più fuori proporzione rispetto ai ceti medi. Davos ne è il rito annuale. Che ne pensa? «Non sono degli estranei: è gente come me. Ma non abbiamo gestito l’economia globale in modo soddisfacente, ne è nata una crisi. C’è in giro un enorme risentimento perché questa élite ha gestito male la crisi e ora è di nuovo qui a celebrare. La gente si chiede dov’è che può portarci un’élite così: questo spiega in una certa misura il successo di Sarah Palin. Lei assomiglia di più alla gente comune. La gente non riconosce più un ruolo guida a questa élite globalizzata» . Lei vede nella crisi l’effetto di squilibri all’interno dei vari Paesi e fra i Paesi. Non teme che siano rimasti intatti anche ora che c’è la ripresa? «Assolutamente sì. Questo davvero mi preoccupa, ci sono profonde fratture nelle nostre società che non si curano con scelte facili e che restano nel tempo. Il discorso di Obama sullo stato dell’Unione dà un po’ di speranza: ha detto che l’Americ a d e v e r e c u p e r a r e competitività e i ceti medio bassi tagliati fuori dalla crescita dovranno essere parte di questa sfida. Ma se non sarà così le diseguaglianze potranno solo aumentare: i ricchi andranno sempre più avanti, gli altri affonderanno sempre di più» . Anche gli squilibri globali fra Paesi debitori e creditori sembrano intatti, dopo il grande choc del 2008-2009. «Temo di sì. La prima reazione durante la crisi, è stata quella di cercare di tornare allo status quo di prima. Ma quello era un mondo di profondi squilibri. La Cina che punta solo sull’export, gli Stati Uniti che puntano solo a risollevare il consumo interno. Eppure il messaggio dei governi è: ricostituiamo la situazione di prima» . Cos’altro potrebbero fare? «Servono campo politiche di lungo respiro. In America uno sforzo per migliorare l’istruzione e le infrastrutture, in Cina un impegno per cambiare i motori della crescita in modo che non dipendano più solo dalla domanda dall’estero ma anche dai consumi interni. Per la Repubblica popolare sono riforme enormi: significa aumentare i salari, ridurre la tassazione sulle famiglie e aumentarla sulle imprese, far salire i tassi d’interesse. Sono cambiamenti profondi» . Nella sua India ci sono 66 miliardari con un patrimonio pari a un quarto del Pil, e 400 milioni di poveri. È il frutto della globalizzazione o la globalizzazione rimedierà? «È il frutto della globalizzazione e dobbiamo lavorare di più su questi problemi. Non possiamo pretendere che la globalizzazione di per sé risolva tutto. È qui che il ruolo del governo diventa decisivo. Queste disparità emergono perché il governo non sta facendo ciò che dovrebbe: dare opportunità uguali in tutto il Paese. In giro per il mondo si sentono molte buone cose sull’India, giustamente. I miliardari sono una buona cosa. Sempre che facciano i loro soldi nel modo giusto» .
Federico Fubini