Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 29/01/2011, 29 gennaio 2011
DAL «PRIMO GIUDICE» UN NO ALLE RIFORME: L’ITALIA E’ UN MODELLO —
L’occasione solenne e i riti di una cerimonia che raccoglie le massime autorità dello Stato impongono toni sobri e un linguaggio distaccato, almeno all’apparenza. Ma quando affronta il tema delle riforme, il primo presidente della Corte di cassazione Ernesto Lupo pare riferirsi in maniera piuttosto chiara ai progetti tante volte annunciati dal governo e dalla sua maggioranza. E seppure con i termini tecnici dell’uomo di diritto, ma con l’autorevolezza derivante dall’incarico che ricopre, replica con decisione a chi ripete che bisogna mettere mano ad alcune modifiche nel campo della giustizia per renderla più efficiente, come fosse un automatismo. «L’inefficienza del sistema giustizia— scandisce il "primo giudice d’Italia"— non dipende dall’assetto ordinamentale e dall’equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione, concretamente realizzato a partire dell’istituzione della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura. Questi organi hanno costituito e costituiscono componenti fondamentali per la connotazione della Repubblica come stato costituzionale di diritto. Il modello italiano costituisce un punto di riferimento nel mondo» . Quella di Lupo suona come una difesa accorata di due istituzioni che non sono state risparmiate dalle polemiche tra politica e giustizia, e di cui spesso si parla come oggetto delle auspicate riforme. Il primo presidente, invece, vuole proteggerle. Come fosse in un’aula universitaria, davanti al ministro della Giustizia Alfano illustra la distinzione tra il modello «gerarchico piramidale di discendenza napoleonica» e quello disegnato dalla Costituzione italiana, rivendicandone l’attualità: «È un modello orizzontale, caratterizzato dalla pari dignità di tutte le funzioni, dal governo autonomo della giurisdizione, dall’indipendenza del pubblico ministero dall’influenza del potere esecutivo, principio di cui è garante il Csm» . Il sostegno a questo sistema da parte del più alto rappresentante della magistratura giudicante, davanti a una platea tanto qualificata, è fermo ed esplicito. E assomiglia molto a una presa di distanza dalle modifiche promesse o immaginate in questa legislatura: dalla riorganizzazione del Csm alla rivisitazione di ruoli, poteri e perfino denominazione dei pubblici ministeri, che il ministro Alfano vorrebbe chiamare «avvocati dell’accusa» . Lupo va avanti, e non mancano altri richiami che paiono riferirsi a tanti discorsi e dibattiti dove politica e giustizia si sovrappongono, fino a rischiare di confondersi. «Nel disegno che i nostri saggi padri costituenti tracciarono per costruire uno Stato di diritto nessun potere è assoluto; neppure il potere del popolo, che esercita la sovranità "nelle forme e nei limiti della Costituzione"» , dice Lupo, invitando a «salvaguardare» il «delicato equilibrio» disegnato nella carta costituzionale» . Ancora una volta il primo presidente — 72 anni d’età e 47 di magistratura, nominato dal Csm al vertice della Cassazione nel luglio scorso, all’unanimità — sembra rivolgersi a chi progetta le riforme, per ribadire una catena di punti fermi da conservare. «Il principio di legalità — dice evocando una sentenza della Consulta —, in un sistema fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non può essere salvaguardato se non attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale, principio che costituisce "il punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale"» . Di citazione in citazione Lupo dedica un «commosso ricordo» a Vittorio Grevi, giurista ed editorialista del Corriere della sera recentemente scomparso, per ricordare la sua «riflessione scientifica e l’impegno civile dedicata al giusto equilibrio tra diritti delle parti ed esigenze di funzionalità del processo» , che andrebbe sempre ricercato. In questo contesto il presidente della Cassazione ricorda che i magistrati debbono dedicare «massima attenzione alle ragioni degli altri» e assumere sempre un «costume di sobrietà e di rigore istituzionale e professionale» . Ma subito dopo aggiunge— facendo tornare alla mente gli scontri di questi giorni sulla nuova inchiesta a carico del presidente del Consiglio, assente alla cerimonia — che «l’esercizio dell’attività giudiziaria e giurisdizionale è liberamente valutabile, ma i processi (civili, penali, disciplinari) si svolgono nelle sedi proprie, dinanzi agli organi giurisdizionali» . Anche l’ultima citazione odora molto di attualità. Come fece lo scorso anno il suo predecessore Vincenzo Carbone, il «primo magistrato d’Italia» sceglie per chiudere una frase del filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, commentatore del «quotidiano comunista» Il manifesto, quando delinea la figura del giudice-modello: «Un giudice capace, per la sua indipendenza, di assolvere un cittadino in mancanza di prove della sua colpevolezza, anche quando il sovrano o la pubblica opinione ne chiedono la condanna, e di condannarlo in presenza di prove anche quando i medesimi poteri ne vorrebbero l’assoluzione» .
Giovanni Bianconi