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 2011  gennaio 29 Sabato calendario

BASTA GIOCHI DI POTERE IN RCS, DECIDE IL CDA" - MILANO - «A

mio parere le aziende sane al giorno d´oggi devono essere guidate dai componenti del consiglio di amministrazione. Il cda deve essere l´unico luogo dove si parla, si discute e si prendono le decisioni. Senza assegnare alcuna golden share a nessuno per diritto divino». Diego Della Valle, fondatore di Tod´s e socio di Rcs Mediagroup con il 5,4%, è insieme ad altri azionisti di spicco molto infastidito dalle voci che nelle ultime settimane si sono rincorse su ipotetici cambi al vertice del Corriere della Sera. E in questa intervista accetta di fare un po´ di chiarezza.
Dottor Della Valle, la confusione intorno a Rcs non è dovuta anche a un azionariato molto articolato, con 14 soci pesanti che rappresentano l´architrave economica del nostro paese?
«Dal mio punto di vista le azioni si contano e il fatto che vi siano 14 o 15 soci importanti è una garanzia di indipendenza. Tra l´altro nel corso del tempo si è formata all´interno della struttura azionaria una logica bipartisan, che serve a "bilanciare" le decisioni. È tutto come in molte altre aziende. Il problema, invece, è che qualcuno pensa di poter gestire in solitudine o tra pochi intimi bypassando gli altri e il cda che, ripeto, è composto da persone serie e capaci ed è l´unico luogo dove devono formarsi le strategie dell´azienda, punto di riferimento per il management. Chi pensa di fare come in passato sbaglia di grosso. I tempi sono veramente cambiati».
Esiste o no una lettera di lamentele scritta da alcuni azionisti, tra cui anche lei, per articoli poco riguardosi per le aziende da loro gestite?
«A mia conoscenza non esiste alcuna lettera e trovo offensivo che qualcuno abbia voluto utilizzare il mio nome in un´ottica destabilizzante per l´azienda. C´è un ufficio stampa in particolare, che definirei all´"amatriciana", che passa il tempo a inquinare i rapporti tra gli azionisti e a creare tensioni in azienda con l´obbiettivo finale di far percepire all´esterno che il suo capo è il vero padrone. È un malcostume che fa male in primo luogo a chi lavora in Rcs, destabilizzando l´azienda. La Rizzoli, lo ribadisco, è di proprietà di tutti i suoi azionisti e se un´importanza va data la si deve dare contando le azioni. Il direttore non è assolutamente in discussione e il presidente Marchetti ha ribadito la fiducia del consiglio. Anzi, io l´avrei fatto sapere qualche giorno prima. Riferendomi a cose lette in questi giorni credo che in un quotidiano equilibrato come il Corriere non serve scrivere articoli qualche volta fuori misura per dimostrare al mondo che si è indipendenti dalla proprietà. Qualche volta si esagera».
Lei si è astenuto nella votazione del 15 dicembre sul nuovo piano industriale Rcs. Qual è il vero significato di questa scelta?
«Quello presentato dal management è un buon piano ma deve essere verificato nella tempistica di realizzazione, che sono fiducioso verrà fatta come da piano. È un´astensione costruttiva come ha detto Antonello Perricone. Mai come adesso si stanno aprendo grandi opportunità di sviluppo grazie alle nuove tecnologie e devono essere colte con tempismo. In soli due anni potremmo avere un´azienda eccellente.
Lei di recente ha parlato di arzilli vecchietti unti dal signore che pretendono di avere l´ultima parola sulle decisioni del Corriere senza aver speso di tasca propria. A chi si riferiva esattamente?
«Io penso che nel mondo delle imprese ci siano due scuole di pensiero. Da una parte c´è chi produce e dedica tutte le sue energie a fare prodotti da vendere sui mercati di tutto il mondo, e dall´altra vi sono altri che attraverso la gestione dei rapporti dei si dice e dalla formazione degli schieramenti hanno una gestione che io ritengo appartenga al passato, lontano da una logica di prodotti, di competitività e di aziende che vivono di mercato».
Allude forse a Cesare Geronzi, presidente di Generali, e a Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, entrambi azionisti della Rcs Mediagroup attraverso le rispettive società?
«Senza volerne fare un caso personale e valutandoli con ottiche diverse e con pesi e caratteristiche completamente diverse, si. È importante secondo me che si rendano conto che gli attuali proprietari della Rizzoli sono persone che pensano con la loro testa, che spesso non sono legati ad alcun tipo di schema e che vogliono solo che l´azienda funzioni bene e quindi che prendano atto che per il futuro le decisioni saranno decisioni prese nel cda, con chiarezza e con un dibattito franco tra i soci».
Dunque lei chiede a Geronzi e Bazoli di non cercare accordi separati ma di discutere in cda le scelte cruciali della Rcs. Ma secondo lei è giusto che le banche siano azioniste dei giornali?
«Non è un problema di banche o banchieri o di altri azionisti, come me, che fanno un altro mestiere. Io dico che il cda nella sua completezza è il posto delegato a prendere le decisioni e dare le deleghe e una volta che le deleghe vengono assegnate sia che si tratti dell´amministratore delegato o del direttore dei giornali bisogna lasciarli poi lavorare tranquilli e sopportarli e poi come in tutti le aziende sarà il cda a valutare i risultati da poter decidere se la fiducia va rinnovata o no ai suoi manager e ai suoi direttori».
L´ingresso di Giuseppe Rotelli nel cda Rcs e forse, in futuro, anche nel patto di sindacato cambierà gli equilibri che governano l´azienda?
«Rotelli è un azionista importante, che ha investito soldi suoi, ed è giusto che stia nel cda. Quando un imprenditore impiega cifre rilevanti è sempre più vicino al proprio investimento e segue con attenzione la gestione dell´azienda».
Non le sembra un po´ bizantina una catena di controllo che prevede patto di sindacato, cda Rcs Mediagroup e cda Rcs Quotidiani dove tutti gli azionisti sono rappresentati?
«Il patto me lo sono trovato, anzi ho aspettato anche molto prima di entrarci, pur essendo azionista. In effetti venendo dal mondo dell´impresa familiare faccio un po´ fatica a capire la necessità di tutti questi organi. Comunque per semplificare la gestione io ho sostenuto con forza, insieme ad altri azionisti, la discesa dei proprietari nella Rcs Quotidiani, in presa diretta con i manager per sostenere i piani industriali. Credo che da allora siano migliorati i meccanismi di gestione di quel consiglio».
La Rcs è alla vigilia di scelte importanti che riguardano in primo luogo le strutture giornalistiche. Qual è la sua posizione al riguardo?
«Dico che il mondo è cambiato e che il futuro delle case editrici sarà sempre più competitivo, per cui non ci si può permettere di perdere il treno della rivoluzione digitale. In Rcs non si possono più mantenere in vita situazioni di comodità oramai superate dai tempi; occorre sbrigarsi a trovare accordi consensuali tra giornalisti e direttore e in questa fase difficile gli azionisti devono supportare i manager e i direttori. È importante che tutti insieme costruiamo la Rcs di domani».
Insomma, mi pare che lei auspichi il ritorno di Rcs a una vita più normale nel panorama nazionale dei media. È così?
«Mi piacerebbe che nessuno mi chiedesse più che cosa succede al Corriere: è una casa editrice come le altre. E a chi ci lavora voglio dire di tenere alla larga chi vuole inquinare l´ambiente con chiacchere e totonomine inesistenti messe in giro da arroganti e poco professionali uffici stampa che vanno a vendere finte realtà e a garantire coperture inesistenti e quando non bastano loro si fanno aiutare da siti internet da quattro soldi».