MICHELE BOCCI , la Repubblica 28/1/2011, 28 gennaio 2011
BAMBINI IN PILLOLE
La prima volta è successo a settembre, con l´inizio della scuola materna. A Pietro, 5 anni, è venuta la febbre con mal di gola e placche e il pediatra gli ha dato l´antibiotico. Quattro settimane dopo la guarigione, è arrivato il mal di orecchie. Questa volta ci ha pensato la mamma. Aveva ancora mezza scatola di amoxicillina in casa, ha visto il figlio con la febbre alta e ha rotto gli indugi. E Pietro, che vive a Firenze, ha fatto di nuovo l´antibiotico. Poi, prima di Natale, è stata la volta di un´influenza che ha coinvolto i polmoni spingendo il medico alla cautela: altra prescrizione, altro "derivato" della penicillina. Quattro mesi, tre antibiotici. E durante e dopo mucolitici, farmaci contro la febbre, integratori per rinforzare il sistema immunitario.
I bambini italiani prendono un sacco di medicine, con o senza la ricetta del pediatra. Soprattutto ne prendono di più di un tempo. Aumenta il consumo e aumenta il consumo scorretto, di chi usa un farmaco purchessia alla ricerca della guarigione immediata: magari sbagliando principio attivo e senza rispettare i tempi della cura.
Nel nostro paese, dice il rapporto Osmed sull´uso dei farmaci, tra il 2004 e il 2009 il numero medio di dosi giornaliere di medicinali rimborsabili (cioè di classe A) assunte tra 0 e 4 anni è aumentato del 29% e tra 5 e 14 anni del 19%. Soprattutto il primo dei due dati è molto alto. Nello stesso periodo nessun´altra classe di età ha avuto un incremento percentuale maggiore, anche se ovviamente quando si considerano gli anziani i numeri assoluti sono enormemente superiori, e trascinano la crescita media di consumo e spesa farmaceutica. C´è però un dato su cui i più giovani sono a livello dei più vecchi anche in termini assoluti: le ricette. Si calcola che nel 2004, 7 bambini da 0 a 4 anni su 10 ricevessero almeno la prescrizione di un farmaco all´anno, nel 2009 si passa a 8 su 10 (da 6 a 7 su 10 per la classe di età superiore). «Del resto le famiglie tollerano sempre meno i sintomi, che ci vengono descritti sempre come abnormi, e non vedono l´ora di rimandare il figlio a scuola. Con lui a casa sballa l´organizzazione familiare. Così molti malati non hanno tempo di guarire». A parlare è Paolo Sarti, il pediatra di Pietro (un nome inventato) e di decine di altri bambini come lui, che ha scritto per Giunti "Neonati maleducati - imparare ad essere genitori e riconoscere i propri errori".
La situazione è seria, anche se da noi non si toccano i livelli degli Usa dove, secondo una ricerca pubblicata dal Wall Street Journal, un quarto dei giovani prenderebbe medicine per problemi cronici. «L´aumento di consumo può essere anche dovuto allo spostamento in classe A di farmaci che un tempo non erano rimborsati, come gli antistaminici», tranquillizza Maurizio Bonati che dirige il laboratorio per la salute materno infantile del Mario Negri di Milano. «Certo i fenomeni preoccupanti ci sono, come l´uso di antidepressivi. In Italia stimiamo che li prendano almeno 30mia adolescenti». E i prodotti da banco o non rimborsabili? «È presumibile che questi medicinali segnino una crescita anche più accentuata ma è difficile calcolarla perché la spesa è a carico delle famiglie».
Le medicine che si comprano senza ricetta, come i mucolitici o certi antinfiammatori e antipiretici, sono al centro della partita dell´inappropriatezza, cioè dell´uso di prodotti che non servono per un determinato caso e addirittura potrebbero essere dannosi. Insieme a queste ci sono gli antibiotici (per cui è necessaria la prescrizione) spesso usati anche quando non si è certi dell´origine batterica del problema. Sul punto dell´appropriatezza e sull´aumento dei consumi la Fimp, federazione italiana dei pediatri e, l´Aifa, agenzia per il farmaco, stanno per avviare una campagna informativa con l´obiettivo di ridurre l´uso delle medicine e spingere medici e famiglie a scegliere le molecole giuste. «Stiamo notando un abuso di farmaci - dice Giuseppe Mele, responsabile nazionale Fimp - C´è una richiesta esagerata da parte delle famiglie e invece bisognerebbe intervenire di più sullo stile di vita dei bambini, ad esempio sull´alimentazione da 0 a 3 anni, fondamentale per lo sviluppo successivo. Il farmaco va dato esclusivamente quando serve, bisogna creare cure sempre più personalizzate: è inutile far prendere a un bambino una pasticca per 7 giorni perché va bene a un altro, quando nel suo caso basta una terapia di 3». Per raggiungere questi obiettivi una maggiore presenza dei pediatri con le famiglie non guasterebbe. «Ma noi ci siamo, al di là della visita domiciliare che ormai è una questione risolta dal nostro contratto: si fa solo se il medico ritiene che serva - dice sempre Mele - I nostri ambulatori sono tutti di alto livello, in grado di fare diagnosi con strumenti come il tampone faringeo, l´esame dell´emocromo o delle urine».
Secondo Bonati oltre alle campagne di informazione bisognerebbe fare qualcos´altro. «Siamo il paese con più antibiotici, e non solo, autorizzati. Abbiamo addirittura 29 cefalosporine. L´Aifa dovrebbe pensare soprattutto a ridurre il numero dei farmaci in commercio. E magari realizzare un prontuario nazionale di quelli pediatrici: l´Italia è tra i pochi a non averlo. Così si ridurrebbero consumi e inappropriatezza». Il Mario Negri ha tenuto sotto controllo per anni le prescrizioni dei pediatri. Sono circa 650 i farmaci usati da questi professionisti. «Abbiamo presentato uno studio in cui si dimostra che al medico basterebbe una borsa con 20 principi attivi - prosegue Bonati - per curare il 95% dei bambini suoi pazienti». Quali sono i medicinali usati di più? «Intanto un antibiotico, l´amoxicillina con clavulanico, ma anche il beclometasone, che sarebbe un antiasmatico che si prescrive per fare l´aerosol contro raffreddore e naso che cola. Poi abbiamo le cefalosporine e altri antibiotici come la claritromicina». Non ritiene che in Italia ci siano troppi principi attivi la professoressa Adriana Ceci, componente del comitato pediatrico dell´Emea (agenzia europea del farmaco) e docente a Bari. «La situazione non è dissimile da quella di altri paesi. Le differenze che c´erano tra i mercati si sono molto attenuate. Certo, ad esempio in Olanda c´è un picco di utilizzo di ormoni per le bambine perché si inizia a dare la pillola presto, mentre in Italia lo vediamo tra i bambini piccoli perché si prescrive molto il cortisone per problemi respiratori e comunque banali».
La professoressa Ceci ha fatto una classificazione dei farmaci pediatrici: i principi attivi in fascia A sono 248, per 1.727 prodotti commercializzati. «Oggi - spiega - è imposto che si scriva nel foglio illustrativo se quel medicinale è pediatrico. Il fatto che venga ricordato sulla confezione non significa niente». Il particolare non è irrilevante. Secondo la stessa Aifa, l´80% e il 60% dei farmaci usati rispettivamente sui neonati e sui bambini più grandi sono off label. «Vuol dire - spiega Ettore Napoleone, responsabile del settore farmaci per la Fimp - che magari si è fatto un dosaggio ad hoc, ma non sono stati controllati i loro risultati sui più piccoli». Per questo l´Aifa promuove la ricerca nel settore. Nel 2010 sono partite in Italia 70 sperimentazioni (su 3mila in tutta Europa) per chiarire come funzionano certi medicinali dal punto di vista pediatrico. «È giusto fare questi lavori solo se servono davvero - ammonisce Bonati - Smettiamo di controllare l´efficacia degli antibatterici sull´otite, è già stato fatto decine di volte. I soldi vanno spesi per ricerche utili». Così che Pietro con tutti quegli antibiotici guarisca davvero.