Ettore Livini , la Repubblica 28/1/2011, 28 gennaio 2011
NUOVA PARMALAT L´ANTICO SCONTRO FINANZA-INDUSTRIA - MILANO
Finanza contro industria. Gli interessi degli azionisti (del tutto legittimi) contro quelli di dipendenti, sistema paese e territorio. Sulla public-company Parmalat (una rarità a Piazza Affari) andrà in scena nei prossimi mesi una partita delicatissima. Da una parte ci sono tre fondi di investimento con il 15,3% del capitale che per darle una svolta vogliono mandare a casa il cda. Le sue colpe? Non aver speso in acquisizioni gli 1,4 miliardi raccolti dalle transazioni con le banche. Un tesoretto su cui i fondi hanno già messo gli occhi dal 2008 chiedendo di girarlo ai soci con un maxi-dividendo.
Dall´altra parte c´è Enrico Bondi, certo di aver tutelato gli azionisti – «ho già distribuito 790 milioni di cedole» – felice di non aver speso la cassa («i prezzi sono drogati dalla logica finanziaria dei private equity, meglio investire in industria») ma costretto a mediare tra i bisogni di ritorni a breve di qualche socio (tra i "ribelli" ci sarebbe chi ha azioni in carico a 3,3 euro) e gli interessi altrettanto legittimi di altri stakeholder come dipendenti e allevatori senza diritto di parola a Piazza Affari.
Cosa succederà ora? Intesa Sanpaolo, azionista Parmalat e Granarolo, avrebbe già messo in guardia su soluzioni che non tutelano il sistema paese. Bondi dice che «il mercato è padrone», ma proverà a convincere i soci che Collecchio ha un futuro solo puntando sul business e facendo shopping a prezzi giusti. Magari gli uomini dei fondi gestiranno l´azienda meglio di lui. Ma dopo aver salvato Parmalat (e i suoi dipendenti) dal disastro 2003 sarebbe un peccato vederla venduta a pezzettini in nome di quella finanza un po´ ingorda che già una volta – con il fondamentale contributo dei Tanzi – l´ha portata sull´orlo del crac.