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 2011  gennaio 29 Sabato calendario

Retroscena La cautela dell’Italia: in ballo il destino di 500 aziende - É sera quando dalla Farnesina parte una nota in cui si invita allo stop di ogni violenza, ma anche al rispetto «delle libertà» inclusa quella di mani­­festare

Retroscena La cautela dell’Italia: in ballo il destino di 500 aziende - É sera quando dalla Farnesina parte una nota in cui si invita allo stop di ogni violenza, ma anche al rispetto «delle libertà» inclusa quella di mani­­festare. Ma l’ordine (non scritto)par­tito da qualche giorno da palazzo Chi­gi e dal ministero degli Esteri impe­gna la diplomazia italiana - e non so­lo lei - a studiare al microscopio quel che sta avvenendo in Egitto, ma an­che in Tunisia e nel resto del Ma­ghreb. Eccettuato il Marocco del re­sto, dove Mohammed VI è molto amato, e con la Libia arroccata nel suo splendido isolamento, tutto il Me­diterraneo del Sud è in fiamme. E per chi, come il nostro Paese, ha destina­to uomini, tempo e soldi a far cresce­re i rapporti diviene inevitabile inter­rogarsi con un pizzico di preoccupa­zione sul futuro di chi risiede sull’al­tra sponda del Mediterraneo. Non è un mistero per nessuno che i nostri governi abbiano da tempo in­trecciato rapporti con chi deteneva il potere al Cairo, a Tunisi, ad Algeri e a Tripoli, anche se spesso erano e in qualche caso restano espressioni di dittature «popolari». Andreotti negli anni ’70 dialogava con Gheddafi che pure aveva cacciato dalla Libia mi­gliaia di italiani. Gianni Agnelli non ebbe alcun imbarazzo ad accettare danaro libico in Fiat. Con Nasser pri­ma, Sadat poi i contatti dei governi di Roma erano frequenti per non parla­re dell’Algeria dove l’Eni e altre azien­de statali italiane cercavano di farsi spazio a danno dei francesi, coi quali Ben Bella prima e Boumedienne poi, mantenevano rapporti freddi. Logi­co dunque che oggi si sia dato ordine di drizzare le antenne. Anche perchè non bisogna scordare come, proprio negli ultimi anni, la sponda Sud del Mediterraneo, oltre che come fornito­re di petrolio e gas, sia divenuta una sorta strategico hub per le merci diret­te in Europa da Cina ed India. Da anni Bruxelles - con l’Italia impe­gnata nella stessa direzione - ha cer­cato di intensificare i rapporti sul ver­sante arabo. Aumentando gli aiuti, sollecitando azioni comuni, cercan­do di individuare terreni strategici di intesa (dalle energie innovative alla lotta all’immigrazione clandestina). Il problema era costituito dal fatto che queste relazioni dovevi necessa­riamente tenerle con rappresentanti di esecutivi che non si sono mai mo­strati eccessivamente sensibili ai te­mi della democrazia. Per cui non era infrequente che i tunisini piuttosto che gli egiziani vedessero nella Ue un «complice» delle dittature che li op­primevano piuttosto che un garante dei loro diritti. Tant’è che nell’Africa del Nord l’idea della comunità è anco­ra sfocata, mentre si privilegiano i rapporti coi singoli Paesi del vecchio continente dei quali l’Italia risultava tra i preferiti. E infatti, se restiamo al solo Egitto, il nostro paese è il primo partner commerciale dell’Europa (e secondo in assoluto): l’interscambio è raddoppiato negli ultimi 3 anni, rag­giungendo i 5 miliardi di euro. Espor­tiamo macchinari e beni strumenta­li. E importiamo prodotti energetici ed agricoli. Ma non è tutto. Sono più di 500 le aziende che attualmente la­vorano nella terra dei Faraoni, di cui ben 200 piccole e medie. Ma ora si po­ne un problema, di tutt’altra natura rispetto a quello di investire o pro­grammare. C’è il futuro politico di al­cuni paesi in ballo, con i rischi (l’inte­gralismo islamico) e le potenzialità (la nascita di una vera democrazia in un paese musulmano) che i compor­tamenti di queste ore possono deter­minare. Scontato dunque che dalle cancellerie della vecchia Europa, si inviti Mubarak a non vietare le mani­festazioni di protesta. O che si appro­fitti di una cacciata come quella del tunisino Ben Alì per sancire la rottura con il suo regime, come sancito da Sarkozy.Ma il problema,vistal’inesi­stenza dell’Europa politica, si pone oggi per noi come per altri: di parole son piene le fosse, per costruire ci vo­gliono i fatti. Prima che altri si renda­no conto delle potenzialità dell’area e ci piantino le loro tende.