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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

I REGIMI LONGEVI CHE BARCOLLANO

Che possa toccare anche a loro? Gli inossidabili "presidenti quasi a vita" di diversi paesi arabi non dormono sonni tranquilli. Dalle loro poltrone hanno visto il mondo cambiare. Usciti vittoriosi da elezioni, spesso con percentuali bulgare, hanno resistito a tutto. L’onda della rivolta dei gelsomini rischia ora di creargli problemi seri. Dalla Tunisia, allo Yemen, passando per Algeria ed Egitto, decine di migliaia di dimostranti sono scesi in piazza. Al grido «Vogliamo la nostra Tunisia», chiedono riforme democratiche, lavoro per tutti, libertà. Ma prima di tutto esigono che i loro longevi capi di stato seguano l’esempio dell’ex presidente tunisino Ben Ali: l’esilio, forzato.

L’ultima protesta ispirata ai fatti di Tunisi è scoppiata nel lontano Yemen, il più povero dei paesi arabi. Sedicimila persone sono scese in piazza nella capitale Sanaa, e in altre città, a chiedere le dimissioni del presidente. Difficile che il coriaceo Abdullah Saleh, 64 anni, decida di abdicare. Il Nuovo Yemen, nato nel 1990 dalla riunificazione tra Nord e Sud, non ha avuto altro presidente che lui. Saleh è un abile tessitore di relazioni in un paese rigorosamente islamico, dove domina un sistema tribale. Di fatto governa da 33 anni. «Essere al potere per più di 30 anni è abbastanza: Ben Ali ci è rimasto 23 anni», urlavano ieri gli yemeniti esasperati da un regime che ha mancato le promesse di riforma. Allarmato, Saleh ha promesso di non ricandidarsi alle prossime elezioni ed ha alzato gli stipendi dei funzionari pubblici. Ma il temperamento sanguigno degli yemeniti è imprevedibile.

Dell’anziano Mubarak, il rais dell’Egitto, si è già parlato molto; 82 anni, al potere da 30, il rais è uscito vincitore da ben cinque discusse tornate elettorali, criticate aspramente da diversi paesi. Fino a qualche giorno fa nessuno si attendeva un cambiamento alle prossime elezioni, in autunno. Se le precarie condizioni di salute di Mubarak non dovessero consentirgli di ricandidarsi, il successore designato è il figlio Gamal. Comunque andrà la rivolta, le cose sono ora cambiate, la partita si è fatta più incerta.

Nella turbolenta Algeria le proteste vanno avanti da più di una settimana. Un altro giovane disoccupato si è dato fuoco ieri, portando così a 13 la lista delle aspiranti torce umane (due persone sono decedute) in nove giorni. Quasi tutti protestano contro la dilagante disoccupazione e i rincari alimentari. Ad essere preso di mira è il governo di Abdelaziz Bouteflika, certo non un modello di democrazia. Arrivato al potere nel 1999, con davanti a sé un Paese distrutto da otto anni di guerra civile, Bouteflika è stato fortunato. Allora il petrolio si stava risollevando dai minimi del 1998, quando il barile crollò a 10 dollari. Rieletto nel 2004 con l’85% dei consensi, si trovò a gestire una ricchezza insperata. In soli 4 anni il greggio volò da 40 al record di 147 dollari. Bouteflika non è però riuscito a guarire il Paese dalla petrodipendenza. Anche questo è un boom senza benessere, che relega i giovani ai margini. Il governo sta cercando di correre ai ripari con colossali acquisti di grano, promesse di rimpasto (l’ultima ieri) e con misure meno usuali.Come la sospensione del ritiro delle patenti previsto per innumerevoli infrazioni.

La Libia del colonnello Ghaeddafi, ricca di gas e petrolio, è uno dei pochi paesi arabi apparentemente immuni al virus tunisino. Non perché sia un perfetto esempio di stato di diritto. Probabilmente per il motivo opposto. Impensabile ribellarsi al pugno di ferro di Muhammar Gheddafi, il più longevo dei dittatori arabi. A soli 25 anni, nel 1969, organizzò un colpo di Stato, rovesciando re Idriss. Nel 1977 proclamò la Jamahiriyah, "lo stato delle masse". Da allora è sempre stato al suo posto. Eppure il vento di Tunisi ha trasportato i suoi semi anche qui. Con una piccola protesta nella città di al-Bayda. Una novità in un regime che, ancor più dei vicini, non tollera espressioni di dissenso e manifestazioni. Qualche protesta, più contenuta, legata ai rincari alimentari, alla disoccupazione e alla mancanza di libertà, c’è stata anche in Giordania e in Marocco. Ma i due giovani monarchi, Abdullah II e Mohammed VI, sono stati più abili nel concedere parziali riforme.

Obtorto collo, gli Stati Uniti spesso hanno dovuto trasformare i "presidenti quasi a vita" in importanti alleati. A loro è stata affidato un compito molto delicato: bloccare l’avanzata di partiti islamici giudicati pericolosi, e combatterre il terrorismo di al-Qaeda. Perdere il loro petrolio e il loro sostegno alla lotta contro il terrorismo fa paura. Finora si è preferito chiudere un occhio. Finora.