Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

Maschilista ma con riserva Il Duce visto da se stesso - Il lunedì di Pasqua del 1934 uno studente uni­ve­rsitario di 21 anni var­cò per la prima volta il portone di Palazzo Ve­nezia a Roma

Maschilista ma con riserva Il Duce visto da se stesso - Il lunedì di Pasqua del 1934 uno studente uni­ve­rsitario di 21 anni var­cò per la prima volta il portone di Palazzo Ve­nezia a Roma. Emozio­natissimo. «Davanti a me sta­va l’Uomo che, insieme con Napoleone, aveva occupato, ed ora da solo occupava, tutta la mia attività di studioso». Benché così giovane, Yvon De Begnac aveva già esordito due anni prima come giornalista su Il Lavoro Fascista di Edmon­do Rossoni (il sindacalista au­tore della Carta del Lavoro) e su alcuni giornali italiani di New York. Presentato da Gale­azzo Ciano, il precoce ragazzo, già autore di un volume sul Du­ce ( Trent’anni di Mussolini 1883-1915 ) veniva con il suo li­bro fresco di stampa sotto il braccio a incontrare l’uomo­mito della generazione forma­tasi in pieno fascismo-regime. Non voleva soltanto presen­targli il libro, ma chiedergli di poterlo incontrare ancora per realizzare il suo ambizioso pro­getto: una monumentale bio­grafia mussoliniana. Fu, da parte del Duce, simpatia a pri­ma vista che fruttò a De Be­gnac numerosi altri incontri ­fino alla vigilia del 25 luglio 1943 - , una brillante carriera giornalistica ed editoriale ma anche invidie e maldicenze. La biografia di Mussolini non fu mai completata (usciro­no solo tre volumi degli otto previsti), rimase però a De Be­gnac uno sterminato materia­le di appunti frutto dei collo­qui - più che altro monologhi ­con Mussolini, in parte utilizza­ti per altri libri (tra cui Palazzo Venezia. Storia di un regime , 1950) ma in gran parte rimasti inediti fino a quando la casa editrice il Mulino li pubblicò nel 1990, a cura dello storico Francesco Perfetti, con una prefazione di Renzo De Felice. L’interesse fu vivissimo e promette di ripetersi, ora che il Mulino ne presenta la ristam­pa, appena arrivata in libreria ( Taccuini mussoliniani , pagg. 648, euro 19). Sono passati ven­tuno anni, la produzione sto­riografica e di divulgazione sul fascismo è ormai sterminata, gli archivi sono stati aperti rive­lando nuovi documenti, diari di Mussolini «veri o presunti» sono stati pubblicati: quale dunque l’importanza di que­sto volumone fitto di nomi tra i quali il lettore comune rischia di perdersi? Il motivo di interesse, piac­cia o non piaccia, è sempre il protagonista, l’uomo politico più amato, odiato, denigrato, biografato, studiato del Nove­cento. « Benché oggi questi Tac­cuini non contengano rivela­zioni- afferma il curatore Fran­cesco Perfetti - essi rimangono un documento importantissi­mo, non solo del pensiero e del­la psicologia di Mussolini, dal momento che egli qui si espri­me in vista di una biografia uffi­ciosa, ma anche del suo stesso atteggiamento nei confronti del fascismo-regime. Se molti giudizi critici nei confronti de­gli uomini a lui vicini possono essere dettati da malumori del momento, è indubbio che il Duce è spesso deluso e rivela a De Begnac anche i suoi debiti politico-culturali e i mai inter­rotti legami intellettuali con uomini del sindacalismo rivo­luzionario mentre conferma, per esempio, le sue antipatie per i nazionalisti. O la stima per grandi avversari come Gio­vanni Amendola, o l’avversio­ne per Giolitti. D’altronde il giovane biografo era molto vi­cino a quegli ambienti che a metà degli anni Trenta vedeva­no il fasc­ismo come una rivolu­zione incompiuta, imborghesi­tasi nel regime, e a cui solo Mussolini poteva dare nuovo slancio. Un fascista “di sini­stra”, insomma». I Taccuini di De Begnac han­no inoltre il pregio, di fronte ad altre pubblicazioni recenti, dell’autenticità, anche se Per­fetti precisa che bisogna piutto­sto parlare di «attendibilità»: «Sia chiaro che essi non sono un testo autografo mussolinia­no. Il personaggio ci appare sempre attraverso l’occhio del biografo che cerca però di esse­re il più possibile fedele. Lo in­terroga sulla cultura e ne rica­va al­cuni giudizi fulminanti su­gli intellettuali e sugli artisti ita­liani, rivelando un Mussolini che leggeva molto, o per lo me­no era molto informato su quanto si andava pubblican­do ». Un Duce diverso da quello che appare in I diari di Mussoli­ni (veri o presunti) il cui primo volume riferito al 1939 è stato da poco pubblicato da Bompia­ni. Francesco Perfetti ne cono­sce la lunga storia, fin da quan­d­o i supposti diari furono offer­ti in vendita a metà degli anni Ottanta. Lo storico espresse dubbi all’editore Mondadori prima, a Marcello Dell’Utri poi, prima ancora delle perizie calligrafiche e fisico-chimiche sul testo: «Non soltanto per la superficialità di molte osserva­zioni su momenti politici im­portanti (si parla più che altro del tempo), non solo per cla­morosi sbagli di date e luoghi ma anche e soprattutto per i numerosi errori di ortografia, impensabili in uno scrittore co­me Mussolini che la lingua ita­liana dominava perfettamen­te ». Ma è anche diverso, il Musso­lini di De Begnac, da quello che appare nei diari di Claretta Petacci, anch’essi finalmente usciti dagli archivi due anni fa e certamente autentici. Ed è qui che Perfetti distingue di nuovo fra «autenticità» e «at­tendibilità »: «I diari di Claretta sono autentici però poco atten­dibili. Vanno cioè letti in con­troluce, nella filigrana del rap­porto di Mussolini con la Petac­ci che su di lui non aveva alcu­na influenza né politica né cul­turale. Quindi molte dichiara­zioni, come per esempio le spa­rate su Hitler e il razzismo, so­no fatte ad personam , per im­pressionare l’ascoltatrice che le riporta acriticamente». Una conferma della scarsa considerazione intellettuale del Duce verso le donne. Con due sole grandi eccezioni: la forte personalità di Margheri­ta Sarfatti e, prima ancora, quella di Angelica Balabanoff, verso la quale il Benito-Duce conserva la stessa devozione del Benito anarchico e massi­malista. Dice in una di quelle sere a Palazzo Venezia, quan­do riceve De Begnac al termi­ne di una lunga giornata: «... debbo ad Angelica molto di più di quello che ella crede io le debba. Aveva sapienza politi­ca. Era fedele alle idee per le quali combatteva... La sua ge­nerosità non conosceva limi­ti... Se non l’avessi incontrata in Svizzera, sarei rimasto un piccolo attivista di partito, un rivoluzionario della domeni­ca... ». Per un maschilista come Mussolini, chapeau bas . An­che perché Angelica, detto per inciso, pagò di persona per es­sere, lei sì, rimasta fedele alle idee professate allora dal suo antico compagno e forse amante.