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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

Il timbro ufficiale arriva da Santa Lucia: smascherato Tulliani - Più che pistola fumante,è l’eco di un col­po già esploso in autunno che risuona nell’Au­la di palazzo Madama

Il timbro ufficiale arriva da Santa Lucia: smascherato Tulliani - Più che pistola fumante,è l’eco di un col­po già esploso in autunno che risuona nell’Au­la di palazzo Madama. Un colpo che, ecco la novità, non era a salve. Dietro a Printemps e Timara c’è Giancarlo Tulliani. Fino a oggi in molti lo sospettavano, compreso il «cognato» eccellente, Gianfranco Fini. Ora è un carteg­gio ufficiale tra il capo del governo di Saint Lu­cia, Stephenson King, e il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, a certificare quei so­spetti come verità, a ribadire che gli esiti del­l’inchiesta interna non hanno cambiato di una virgola ciò che nella capitale dell’isola ca­raibica già sapevano da settembre. Tulliani è il beneficial owner delle due offshore che si sono passate la casa di Montecarlo, (s)vendu­ta da An nel luglio del 2008 per 300mila euro. Dunque i broker internazionali di questa storia – Walfenzao, Izelaar – erano solo com­parse, intermediari. Non è un caso, in fondo, che quello sia il loro lavoro. Jason Sam a Mona­co, Corporate agents ltd a Santa Lucia, «battez­zano » società di facciata, scatole vuote per clienti facoltosi che preferiscono appoggiarsi all’industria delle offshore per intestarsi beni mobili e immobili senza dare nell’occhio. Non è illegale. Ed è questo che l’inchiesta delle autorità di Saint Lucia ha accertato. Tul­liani, il «beneficial owner» delle due offshore, e gli intermediari coinvolti nella compraven­dita, «hanno rispettato leggi e regolamenti» di Saint Lucia. Di più, al governo dell’isola non interessava sapere, come scrive chiaramente il primo ministro King a Frattini, spiegandogli come anche il primo «confidential memo», quello che incastrava Tulliani come beneficia­rio effettivo, sarebbe dovuto restare riservato. Ma per il fratellino di Elisabetta conta poco la «compliance» con le norme di Saint Lucia. Lui ha sempre negato di essere anche solo coinvolto di striscio in queste società. Nono­stante le apparenze, che lo vedono protagoni­­sta dei lavori di ristrutturazione della casa, no­nostante a quell’indirizzo si sia trasferito pro­prio lui. Nonostante la domiciliazione delle proprie bollette a casa del broker James Wal­fenzao. Nonostante un contratto d’affitto in cui le firme di locatario e locatore appaiono identiche. Circostanza questa che smentisce in maniera sonante anche l’ultimo, estremo tentativo di salvataggio compiuto da Giusep­pe Consolo, ieri a Porta a Porta , e la tesi propu­gnata dal parlamentare- avvocato di un Tullia­ni «semplice beneficiario dell’immobile in quanto paga un regolare affitto». Forse il giovane Tulliani sperava che l’in­chiesta interna finisse per graziarlo, nel nome della privacy, santa patrona delle offshore. Co­sì non è stato. Il colpo non era una bufala, non era manipolato. E, appunto, non era nemme­no a salve. Qualunque sia il gioco a cui Tullia­ni ha voluto giocare, sembra che gli sia andata male. Ma va anche peggio per Fini. «Se verrà dimostrato che la casa è sua, non esiterò a di­mettermi », spiegò a settembre. Il carteggio uf­ficiale tra i governi basterà, come certezza? Massimo Malpica *** L’inchiesta è chiusa: il Giornale sfratta Fini - È finita. La prova c’è.I con­ti tornano. I tanti indizi raccolti in sei mesi completano il puzz­le. L’inchiesta del Giornale può dirsi conclusa. È la secon­da decade di luglio quando in redazione, a Milano, arriva la mail di una nostra firma stori­ca, Livio Caputo, che riferisce delle confidenze di un amico a Montecarlo su un appartamen­to donato da una contessa ad An e finito, chissà come, nella disponibilità di «Tulliani». Di buon’ora Feltri e Sallusti chia­mano il sottoscritto, neo papà, in vacanza. Lapidari: «Apri il pc, c’è posta per te. Leggi e ri­chiama ». La mail con allegata l’informazione di Caputo so­stiene una tesi all’apparenza folle: un immobile del valore stimato di due milioni di euro è stato svenduto nel 2009 alla so­cietà inglese Timara Ltd. Den­tro ci vivrebbe Elisabetta, la compagna di Gianfranco Fini, perché sul telefono c’è scritto Tulliani. Leggo e rileggo la mail prima di venire interrotto dal trillo del cellulare. Di nuovo Sal­lusti. «Lo so quello che pensi, anche a noi sembra pazzesco, non possono aver combinato questo pasticcio in modo così plateale. Non si sa mai, andia­mo a vedere». Andiamo. Vado. L’indoma­ni a Milano il primo incontro: un cittadino italiano residente nel Principato (citato nella mail di Caputo) conferma: «C’è questo appartamento del­la contess­a Colleoni che da an­ni provo ad acquistare, ho fatto anche offerte al partito, mi han­no detto che non era in vendita e poi, all’improvviso, scopro che l’hanno venduto,che stan­no facendo i lavori, che c’è un ragazzo che dirige la ristruttu­razione. Mi metto l’anima in pace, e lascio perdere. Quando però leggo “Tulliani”sul citofo­no capisco tante cose, m’incaz­zo e mi appunto il nome Tima­ra scritto sul cartello dei lavo­ri... ». È il primo, seppur timido, ri­scontro. Il resto proviamo a re­cuperarlo a Montecarlo, patria della riservatezza e del segreto bancario. Un veloce sopralluo­go nel palazzo al 14 di Boule­vard Princesse Charlotte con­ferma l’esistenza della scritta Tulliani su citofono e sul cam­panello di casa. A fatica rintrac­ciamo chi ha fatto i lavori nel­l’appartamento, chi li ha coor­dinati, chi ha pagato e a chi (una società estera). Disturbia­mo con gli inquilini che ci con­fermano d’aver visto Fini e una «bella signora bionda», spie­gando però che al piano terra abita un ragazzo che fa il figo in Ferrari. Parliamo con l’ammi­nistratore del condominio, bat­tiamo le agenzie immobiliari del circondario, rintracciamo operai un tantino omertosi (che qualcosina però si lascia­no sfuggire) e alla fine prendia­m­o visione del testamento olo­grafo della discendente del condottiero Colleoni che si fi­dava di Fini tanto da lasciargli un ingente patrimonio. Il puzzle inizia a prendere for­ma anche perché registriamo più proposte d’acquisto respin­te al mittente dai tesorieri del partito. Il prossimo passo? Suo­nare a casa Tulliani. Detto, fat­to. Driiin. «Chi è?». «Buongior­no, sono Chiocci del Giornale . Mi può aprire? Le vorrei chiede­re una cosa... ». Silenzio. Il cam­panello squilla di nuovo, anco­ra silenzio. Togliamo le tende diretti all’hotel. All’appunta­mento con un funzionario loca­le, amico di amici italiani, che giura di sapere molto della ca­sa abitata da «Tulliani», trovia­mo invece la polizia, chiamata dall’inquilino reticente. Gli agenti circondano l’albergo Novotel, dal bar mi trascinano fuori per interrogarmi altrove. Domande su domande sul per­ché ci interessa tanto mon­sieur Tulliani. Il faccia a faccia con gli ispettori della Sûreté Pu­bl­ique viene bissato nel pome­riggio, stavolta in commissaria­to, con passaggio nei sotterra­nei per la foto ricordo: «Si met­ta davanti all’obiettivo». Clic. «Adesso di profilo». Clic. Ven­go invitato a lasciare il Principa­to. L’indomani,27 luglio,lo sco­op è in edicola: «Fini, la compa­gna, il cognato e una strana ca­sa a Montecarlo». A cascata le prime carte sulla compravendi­ta vedono la luce. Si legge della cessione a prezzi stracciati (ap­pena 300mila euro) della casa a una off-shore del paradiso fi­scale di Saint Lucia, che l’ha ri­venduta a un’altra off­shore ge­mella, creata, come la prima, solo a pochi giorni dell’affare immobiliare. Nomi, date, fi­nanziarie estere, contratti, te­ste di legno. Vien fuori di tutto, un quadro inquietante che au­torizza a pensar male. All’uffi­cio del registro monegasco, in­tanto, i colleghi Stefano Filippi e Massimo Malpica scartabel­lano nei fascicoli e ricostruisco­no il gioco dell’oca societario. Ogni giorno è un giorno nefa­sto per Fini e per i suoi fedelissi­mi, che negano l’evidenza e si smentiscono a vicenda. Il presi­dente della Camera non parla mai, e quando parla (senza contraddittorio) si dà la zappa sui piedi rivelando cose che non dovrebbe/potrebbe sape­re. La procura è costretta ad apri­re un’inchiesta solo perché glielo impone un esposto della Destra. Fini si appella conti­nuamente ai pm, minaccia querele ogni due per tre. Sente il terreno franare sotto i piedi quando il notaio che stipulò l’atto confida al nostro Loren­zetto i dubbi di una compra­vendita a dir poco sospetta. Tre­ma nel momento in cui due im­piegati del mobilificio romano Castellucci ammettono di aver visto Fini e signora interessarsi all’acquisto di mobili e cucina da portare all’estero. A Monte­carlo? Macché, quella cucina di cui pubblichiamo i moduli su carta e finanche la cedola d’acquisto«è a Roma,perché a Montecarlo nemmeno c’en­tra » ironizza Lui per bocca dei seguaci del Fli. È così? Certo che no. A fine settembre il Gior­nale gli farà fare una figuraccia pubblicando prima la mappa della casa (dove la cucina c’en­tra al centimetro) eppoi le foto della stessa Scavolini installata nel Principato. Il Nostro non apre bocca, per pietà, quando pubblichiamo la bolletta del cognato domiciliata a casa di mr Walfenzao, il dominus ca­raibico dell’intrigo immobilia­re. Non fiata quando vede sul Giornale il contratto d’affitto con le stesse identiche firme dalla parte del locatario e del lo­c­atore che secondo una consu­lenza da noi commissionata a due periti calligrafici apparten­gono a Giancarlo Tulliani. Ma­stica amaro leggendo dell’am­basciatore che si è messo a di­sposizione totale del cognato eccellente. Perde definitiva­mente la parola, e la pazienza, con l’uscita delle prime indi­screzioni dai Caraibi. Balbetta coi fedelissimi allorché in edi­cola si accorge delle mail che Elisabetta,la sua fidanzata,spe­disce all’imprenditore Garzelli per modificare il progetto della casetta monegasca. A dimo­strazione che pure lei sapeva. E siccome dell’affaire a Monte­carlo, sapeva, e quanto sapeva, il fratellino con la Ferrari, su Montecarlo resta una cosa sola da capire: ma Gianfranco Fini c’è o ci fa? Gian Marco Chiocci