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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

LA CHIESA E LO STATO NELLA RUSSIA DI PUTIN

Lei ha scritto che a Kaliningrad (la vecchia Königsberg della Prussia orientale, ora russa) esiste da qualche tempo una sfarzosa cattedrale ortodossa costruita nel centro della città. Non le sarà sfuggito il suo significato politico prima che religioso.
Silvia Tozzi
silvia.tozzi@libero.it
Cara Signora, l’Ortodossia è ormai nuovamente, a tutti gli effetti, la religione civile dello Stato russo. Sin dall’inizio della sua lunga carriera di sindaco della capitale, Yurij Luzkov, volle che la Chiesa di Cristo Salvatore, distrutta da Stalin con uno straordinario numero di cariche di dinamite, sorgesse nuovamente sulle rive della Moscova. Da quel momento la chiesa è divenuta la parrocchia del Cremlino, il luogo dove, tra l’altro, furono celebrate le esequie per la morte di Boris Eltsin. Il patriarca e i suoi vescovi decorano con la loro presenza le grandi cerimonie ufficiali. I governatori di provincia coltivano i loro rapporti con il clero locale. Quando partecipa a una cerimonia religiosa Putin assiste pensieroso, compunto e accompagna la liturgia con ampi, solenni segni della croce. Di lui si dice che sia molto fedele e che la catenella d’oro appesa al collo sia un’abitudine a cui non avrebbe rinunciato nemmeno quando era colonnello del Kgb. Per la verità lo strappo rivoluzionario fra la Russia e la sua Chiesa durò poco più vent’anni. Quando la Germania di Hitler invase l’Unione Sovietica nel 1941, Stalin capì che il Patriarcato poteva dare un contributo decisivo alla mobilitazione patriottica della nazione e cominciò ad allentare i lacci che Lenin aveva stretto al collo della Chiesa dopo la rivoluzione d’Ottobre. Restituì qualche luogo di culto e qualche convento, fra cui quello di Zagorsk, e regalò al clero ortodosso dell’Ucraina occidentale i beni confiscati dai cattolici di rito greco (gli uniati). Gradualmente, all’epoca di Kruscev e di Breznev, la Chiesa cominciò a segnalare discretamente la sua esistenza. Si dice che molti prelati ortodossi fossero divenuti agenti del Kgb. Meglio sarebbe dire che conquistavano qualche diritto, fra cui quello di incontrare diplomatici stranieri e andare all’estero per occasioni religiose, soltanto promettendo che avrebbero fornito alla Lubjanka un rapporto sui loro incontri internazionali. Ma è probabile che la maggioranza di quei rapporti fosse piena di innocue banalità. La situazione migliorò rapidamente dopo l’avvento di Gorbaciov al potere nella primavera del 1985. Come tanti dirigenti sovietici il nuovo segretario generale era stato prudentemente e segretamente battezzato al momento della nascita. Lasciò che la notizia circolasse e fece un passo decisivo sulla strada della riconciliazione permettendo alla Chiesa di celebrare solennemente, nel 1988, il millesimo anniversario della cristianizzazione della Russia di Kiev. Il suo successore, Boris Eltsin, fu ancora più generoso. Conferì alla Chiesa alcune esclusive licenze commerciali che le avrebbero garantito cospicue entrate finanziarie, e fece approvare una legge che avrebbe reso molto difficile l’apostolato cattolico. Non è la Russia zarista, cara Signora, ma le assomiglia. Il rapporto fra Stato e Chiesa, all’epoca di Bisanzio, veniva definito, in greco, sinfonia. La parola continua a descrivere perfettamente i rapporti tra il Cremlino e il patriarcato di Mosca nell’epoca di Putin e Medvedev.
Sergio Romano