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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

PENSIONI CHOC A COPENAGHEN. IL RIPOSO DEI TRENTENNI? A 74 ANNI —

Non è solo una questione danese. Anche se la riforma delle pensioni che si sta discutendo nel Parlamento di Copenaghen agita non poco la politica locale, è fuori dai propri confini che sta causando le onde più grosse. Leggere, per esempio, la copertina di economia che le ha dedicato la Süddeutsche Zeitung ieri: «Ultima novità: in pensione a 74 anni» (e vicino un commento: «Perché è giusto alzare l’età pensionabile, nonostante tutte le proteste» ). E se il titolo è magari un po’ a effetto, la sostanza resta: la Danimarca discute la prima proposta di legge europea che sposterà l’età pensionabile oltre l’asticella dei 70 anni.
Il primo ministro Lars Løkke Rasmussen non ha risparmiato toni drammatici nel presentarla al Parlamento: «Ne va della sopravvivenza della nostra economia» . Peculiare, la situazione danese: un Paese quasi privo di disoccupazione (al 3%), che prima della crisi finanziaria faticava a sostituire i 60enni che se ne andavano. E allora— poiché il problema è sempre lo stesso, la tenuta delle finanze statali — ecco le contromisure. Via i prepensionamenti dai 60 anni; aumento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni dal 2022; e soprattutto l’idea cardine di legare le pensioni all’aspettativa di vita. Ossia, in pensione solo gli ultimi 15 anni, rispetto a quello che le statistiche nazionali (senza mai nominare l’impronunciabile parola) calcolano come un ragionevole punto d’addio. Vi ricorda Bismarck che prima d’inventarsi la pensione a 70 anni per i veterani di guerra, leggenda vuole, s’informò a che età morivano? D’altronde, Rasmussen è stato chiaro: è inconcepibile «che persone completamente sane vengano pagate per smettere di lavorare» . Due conti. Già ora i danesi vivono fino a 82 anni, e con le proiezioni in verticale crescita, i trentenni di adesso — se il piano passasse— resteranno in ufficio fino a 71 anni. Estendendo i calcoli, a date magari futuribili, s’arriva alla fatidica soglia dei 74 anni. Certo, non è sicuro che il premier abbia i voti per far passare la riforma: ma il principio guida non è contestato neppure dall’opposizione. Il costo della società (europea) che invecchia. Proprio oggi, la Spagna approverà la sua riforma delle pensioni, che ha l’ambizione di essere un modello per l’Europa: 67 anni (a meno di non averne compiuti 65 e aver accumulato 38 anni e mezzo di contributi). Di alzare i limiti si discute in Gran Bretagna (da 65 a 66), si è deciso nella Francia sarkozista pur lontana da queste soglie (da 60 a 62), si pianifica in Germania (67 nel 2030). È la fine della pensione, perfino della vecchiaia che conosciamo, una rottura epocale che prospetta quel «fine lavoro mai» («never retire» ) che pure aveva entusiasmato Tony Blair? Più pragmaticamente, la Germania comincia a discutere del modello danese.
«Andare in pensione a 71 anni è totalmente assurdo» , dice la sindacalista Annelie Buntenbach. Ma uno studio della Bundesbank mesi fa offriva la stessa ricetta: l’aspettativa di vita si allunga di un buon mese all’anno. E alla lunga (e fissa una data: 2060, ossia per chi ha 20 anni) non c’è alternativa alla pensione a 69 anni.
Mara Gergolet