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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

IL SOLDATO POVIC E IL PODESTA’. COSI’ IN 70 RIUSCIRONO A SALVARSI - E’

tornato «liberatore» nella terra che lo aveva aiutato a ritrovare la libertà. Il soldato Isidoro Povic ricordava spesso con grande orgoglio quella notte del 1945, quando fu il primo militare alleato a varcare le mura di Asolo, appena liberata dai partigiani. Camminò dritto nella casa del tappezziere del paese, Luigi Zorzetto, l’uomo che per quasi un anno lo aveva protetto. Spalancò la porta e bastò uno sguardo per tornare indietro di due anni, quando ad Asolo aveva trovato la salvezza. Allora era stanco, infreddolito, con quattro fagotti come bagaglio e un cartone per giaciglio. Accanto la fidanzata Flora, ventenne come lui. Insieme con altri settanta ebrei, per sfuggire alle persecuzioni in Serbia e Croazia, nel 1941 aveva prima cercato la salvezza a Spalato, ma quando la milizia fascista scoprì che non erano residenti, nel 1942 furono internati ad Asolo. Proprio quel borgo arroccato in provincia di Treviso si trasforma nel primo passo verso la salvezza grazie al silenzioso aiuto di tanti italiani. «Che fate lì sotto i portici con questo gelo? Avete bisogno di un aiuto?» chiede ai due ragazzi Luigi Zorzetto. Quando capisce che sono ebrei li ospita e li sfama in casa sua dove rimangono per mesi. Nel gruppo ci sono avvocati, commercianti, professori universitari, medici. Tutti, o quasi, benestanti che affittano piccoli appartamenti e si mantengono con lavoretti. In città organizzano anche una scuola ebraica. Ma è nel 1943, dopo l’armistizio, che la situazione precipita. Indizio dopo indizio il professor Gianni Moriani, docente alla Venice International University e autore de «Il Secolo dell’odio» (Marsilio) ricostruisce la fuga verso Israele. Dopo l’occupazione tedesca la salvezza è tenere in tasca una carta d’identità falsa. Parte in missione la «bella, bionda e grassa» Zdenka, come scrive Jasha Levi, all’epoca ventiduenne, autore di «The Last Exile» . Si presenta davanti al podestà Ernesto Pasini con la lettera in cui si chiedono le carte d’identità false. Ma lui, seduto alla scrivania, alza gli occhi e scuote la testa: «Non posso fare questo!» e spiega che se i tedeschi avessero scoperto quel falso avrebbero potuto dare fuoco alla città. Ma il podestà la invita a sedersi e aggiunge: «D’altra parte, il mio predecessore...» e se ne va. Quando torna nella stanza ha in mano le prime cinque carte d’identità firmate e timbrate dal sindaco precedente, Achille Serena, che aveva governato fino al 1923. Lo aiuta il segretario comunale Adolfo Vivian. Alla fine anche i bambini riescono ad avere il loro documento. Scappano tutti una notte del settembre 1943. Il professor Moriani ripercorre la fuga di diciotto di loro, tutti imparentati. Passano per Padova, Adria e a bordo di un camion arrivano a Bellaria. Chiedono ospitalità alla pensione Savoia. Non raccontano di essere ebrei ma si presentano come profughi dell’Italia meridionale in attesa di un’imbarcazione che dalle coste romagnole li riporti a Bari, già liberata, falsamente indicata come la loro città di origine. Solo qualche giorno dopo il titolare della pensione Ezio Giorgetti e la moglie Libia capiscono che sono ebrei. Non li cacciano. Invece continuano a proteggerli fino al luglio 1944, quando i tedeschi ordinano di evacuare tutti gli hotel della costa. E’il maresciallo dei carabinieri di Bellaria, Hosman Carugno a trovare un nuovo rifugio: una fattoria a Madonna di Pugliano Vecchio, sugli Appennini pesaresi. Giorgetti paga di tasca propria il viaggio di quelli che sono diventati ormai amici. Per il loro impegno Giorgetti (il primo italiano) e Carugno si sono guadagnati il riconoscimento di «Giusti tra le Nazioni» . Quando nel luglio del 1944 i tedeschi ordinano di liberare la villa, destinata a diventare un ospedale militare, sono gli stessi abitanti di Pugliano Vecchio a mettere a disposizione le proprie case. A ottobre, dopo giorni di pioggia incessante, il gruppo di ebrei, che da 18 è salito a 30, arriva ad Ancona e poi finalmente a Bari da dove si imbarca per quelle terre che diventeranno poi Israele.
Cristina Marrone