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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

3 articoli: SI INFIAMMA LO YEMEN. MIGLIAIA IN PIAZZA PER LA CACCIATA DI SALEH - Il vento della rivolta tunisina si allunga fino alle sabbie della penisola arabica e raggiunge lo Yemen

3 articoli: SI INFIAMMA LO YEMEN. MIGLIAIA IN PIAZZA PER LA CACCIATA DI SALEH - Il vento della rivolta tunisina si allunga fino alle sabbie della penisola arabica e raggiunge lo Yemen. Da ieri mattina le sorti del regime di Ali Abdullah Saleh sono in forse. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza nella capitale Sana’a, nelle città principali come Aden e Al Hudaydah, ma anche in tante delle provincie più remote, per chiederne la cacciata immediata. «Nessun ritardo, nessun ritardo, il tempo della partenza è arrivato» , gridano rabbiosi e insistenti negli scontri con le forze di polizia. È l’incubo che torna a colpire un altro degli esponenti più obsoleti delle gerontocrazie arabe. Tunisia, Egitto, Algeria, Libia e ora Yemen: comun denominatore sono la mancanza di democrazia, la corruzione diffusa delle classi dirigenti, la promessa alla comunità internazionale di dare la caccia all’estremismo islamico in cambio del chiudere un occhio (o meglio, entrambi) di fronte a immobilismi e ingiustizie interni eletti a sistema. Nel caso dello Yemen sono tante le similitudini con la Tunisia. Il 68enne Saleh è al potere da 32 anni (prima come leader del Nord, dal 1990 del Paese unificato). Ben Ali, 74 anni, lo era dal 1978. Entrambi avevano ripetutamente modificato la costituzione, diventando de facto monarchi a vita. Le differenze riflettono invece la diversità profonda delle due realtà sociali. Quella tunisina è una rivolta popolare in un Paese caratterizzato da laicità diffusa, alto tasso di istruzione, classe media sviluppata, forti legami con l’Occidente. Molto più fragile è invece la realtà interna yemenita. Un Paese che già da tempo sta letteralmente in piedi per miracolo. Nel Nord impervio e montagnoso cresce l’influenza di Al Qaeda e prevalgono gli antichi clan tribali, con cui il potere centrale negozia continuamente compromessi. Nel Sud ha ripreso vigore la corrente secessionista. Saleh governa navigando a vista. Il figlio Ahmad è capo dei pretoriani della Guardia repubblicana. I tre nipoti, Amar, Yahya e Tarek, sono rispettivamente vicedirettore della sicurezza nazionale, capo degli apparati di sicurezza centrale e capo dei corpi scelti incaricati di vegliare sul presidente. Spaventato dallo scenario tunisino, nelle ultime settimane Saleh aveva annunciato riforme, promesso che il figlio non sarà candidato alla successione (come invece accusano le opposizioni), dimezzato le tasse e diminuito il prezzo dei beni di prima necessità. Ma a che serve in un Paese in cui metà della popolazione guadagna un euro e mezzo al giorno? «L’ora del cambiamento è arrivata. No alla transizione ereditaria del potere» , scandivano nel pomeriggio gli oltre 10.000 studenti assiepati al campus universitario della capitale. Lorenzo Cremonesi LA SIRIA BLOCCA FACEBOOK SUI CELLULARI — La paura del contagio rivoluzionario ha indotto le autorità siriane a bloccare l’accesso a Facebook sui cellulari. Il quotidiano Asharq al-Awsat ha riferito che in Siria non funzionano più né Nimbuzz né eBuddy, due programmi che permettono di accedere alla chat del diffuso social network e ad altri sistemi di messaggistica. Social network, chat e blog sono evidentemente considerati molto pericolosi dal regime di Damasco, visto che sono stati utilizzati con successo per organizzare in tempi rapidi raduni e proteste contro il governo dalla Tunisia all’Egitto. Anche la pagina principale di Facebook è bandita nel Paese, dove però i proxies permettono di aggirare l’oscuramento. La Siria— dove il partito Baath è al potere dal 1963, l’opposizione è al bando e vige una legislazione di emergenza— ha così inasprito le già rigide restrizioni sul web. Una legge per la regolamentazione della Rete, già approvata a novembre dal governo di Damasco e in attesa del via libera parlamentare, consentirà alla polizia di entrare nelle redazioni dei siti e di arrestare i giornalisti che violano le norme sulla censura. In questi ultimi anni, il web ha avuto un grande sviluppo in Siria, diventando una delle principali fonti di informazione rispetto a giornali e tv, strettamente controllati dallo Stato. Da tempo il governo ha preso di mira i siti dei partiti di opposizione, come quello dei Fratelli musulmani, della minoranza curda e di associazioni per i diritti umani, ma anche social network come Facebook, Twitter e YouTube. A tutt’oggi sono circa 240 i siti chiusi dalle autorità. Lo scorso luglio l’associazione per la libertà di stampa Reporter senza frontiere (Rsf) ha definito la Siria come uno dei Paesi più repressivi in termini di censura su Internet. VIDEO-CHOC: LAPIDATI DUE ADULTERI — La raccapricciante lapidazione di una coppia adultera, avvenuta nel nord dell’Afghanistan lo scorso agosto, è emersa ieri grazie ad un video girato con un telefono cellulare. Il filmato è stato pubblicato ieri dalla Bbc, censurando le parti più scabrose. Solo funzionari afghani e della Nato l’hanno visto per intero. Nel video si vede una donna, Siddiqa, 25 anni, completamente coperta da un burqa azzurro e sepolta fino alla cintola in un buco profondo circa un metro. Due mullah leggono la sentenza di morte. Poi decine di persone cominciano a lanciare pietre contro la testa e il corpo della donna, che cerca disperatamente di liberarsi, di strisciare fuori dalla buca. Passano due minuti: il burqa è insanguinato, ma la donna non è morta. A quel punto, si sentono i mullah che dicono che dovrebbe essere lasciata in vita. Ma un talebano le si avvicina e le spara tre colpi di kalashnikov. Poi è la volta dell’amante, Khayyam, che viene portato in pubblico con le mani legate dietro la schiena; prima d’essere bendato guarda verso la telecamera del cellulare, con sguardo fiero. L’attacco contro di lui è ancora più violento. Si sente il giovane che geme, e poi il silenzio. La lapidazione è avvenuta nel distretto di Dashte Archi, a Kunduz, un’area sotto controllo talebano. Siddiqa era fuggita con l’amante in Pakistan dopo esser stata venduta per un matrimonio combinato, contro la sua volontà. L’uomo era già sposato, con due figli. La coppia era tornata al villaggio perché gli anziani avevano promesso loro il perdono: un terribile errore. I funzionari della polizia locale afghana affermano che i responsabili sono riconoscibili nel video e assicurano che saranno processati. Il portavoce talebano Zabiullah Mujahid ha difeso la sentenza.