Federico Fubini, Corriere della Sera 28/01/2011, 28 gennaio 2011
GLI ECONOMISTI? SE SEI PESSIMISTA DIVENTI UNA STAR —
Thomas Carlyle, storico vittoriano, la chiamava la «scienza lugubre» e non può essere un caso se la sua definizione resiste ancora. Fuori da una cerchia per lo più guardata con sospetto, l’economia non ha mai sedotto nessuno. Non lo ha mai fatto, almeno, prima che l’ultima crisi la trasformasse (a volte) in un genere d’intrattenimento. Davos sta alla dismal science di Carlyle come Sanremo alla canzone italiana: ma sulle Alpi svizzere chi urla di più, ha maggiori probabilità di vittoria.
«Prima i miei colleghi economisti erano terrorizzati all’idea di affermare qualcosa di sbagliato, quindi diventavano incomprensibili, dicevano sempre "da un lato è così, però dall’altro può essere anche cosà"» , ricorda Robert Shiller di Yale. Ora le regole del gioco sono cambiate.
La star di Davos per esempio è Nouriel Roubini della New York University. Roubini nel 2006 vide arrivare la crisi dei subprime, lo disse forte e chiaro e ciò ha fatto di lui il primo economista con uno status da rock star. Da allora Roubini ha preso molte altre posizioni estreme, quasi tutte sbagliate: ha proposto di nazionalizzare le grandi banche americane, ha affermato che i rialzi di borsa del 2009 erano «il rimbalzo di un gatto morto» (più 90%in sei mesi), ha previsto una seconda recessione americana nel 2010 e ha proposto che la Grecia, con 300 miliardi di debiti, faccia default come il Pakistan (che ne aveva poco più di tre).
Nessun governo segue i consigli di Roubini, ma non è questo il punto. L’importante per lui e per altri nella sua scuola è fare affermazioni così forti da far breccia nella valanga di informazione che ogni giorno investe il mercato. Quando parla Roubini, i video della web-tv di Bloomberg registrano il record dei contatti. Più è tranchant e più lo ascoltano. Forse ha torto, ma almeno è chiaro. Sono tecniche che portano nuovi inviti ben remunerati e anche gli ottimisti a oltranza come David Kostin di Goldman Sachs ormai le applicano. Non a tutti piace: «Non basta che una previsione si dimostri corretta— osserva Carmen Reinhart dell’Università del Maryland —. Dev’essere anche fondata e accurata nei tempi» . Qualcuno osserverà che è solo invidia e che per sfidare un pensiero conformista bisogna essere sempre un po’ provocatori. Magari è vero. Ma non basta dirlo. Bisogna urlarlo.
Federico Fubini