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 2011  gennaio 28 Venerdì calendario

IL CORAGGIO DI TRICHET, GLI ERRORI DI BERNANKE

Mai così diverse. I rischi di un aumento dei prezzi alimentato dai paesi emergenti hanno spinto la Banca centrale europea e la Federal Reserve a prendere direzioni opposte, come mai era successo prima. Sono solo parole, per ora; ma la politica monetaria si fa anche così.

Se però il problema è comune, globale, qualcuno forse sta sbagliando. Chi? Washington non sembra preoccupata. «Anche se i prezzi delle materie prime sono saliti, le aspettative di lungo termine sono rimaste stabili e le misure d’inflazione "di base" tendono verso il basso», ha spiegato l’ultimo comunicato. Diversi i toni a Francoforte. La Bce ha affermato il 13 gennaio che «i rischi nelle prospettive di medio termine per l’andamento dei prezzi sono ancora ampiamente bilanciati, ma potrebbero muoversi verso l’alto». I tassi sono «ancora» appropriati, ha poi detto il presidente Jean-Claude Trichet, che ha lanciato però l’allarme sugli "effetti ritardati" (i second round effects). I rincari di energia e alimentari - non gestibili con la politica monetaria - potrebbero far salire tutti gli altri prezzi, anche a causa di maggiori rivendicazioni salariali. La Bce ha aperto così la porta a un primo rialzo dei tassi - ora all’1% - che alcuni analisti prevedono già per giugno.

Spiegare cosa accade può sembrare facile. Lo si ripete sempre: la Fed ha un doppio obiettivo, crescita - cioè occupazione - e stabilità dei prezzi, e può scegliere cosa privilegiare. Oggi sembra proritario spingere l’attività economica. La Bce, invece, deve dare priorità alla lotta all’inflazione.

La cosa è però un po’ più complicata. Anche la Fed, come le altre banche centrali, ha elaborato una strategia per "mettere ordine" tra i due obiettivi, che possono entrare in conflitto nel tempo: troppo stimolo oggi o più crescita domani possono per esempio significare, se si superano i "limiti di velocità", tanta inflazione dopodomani. Si può dunque spingere l’attività economica solo fino al punto in cui non si rischia di surriscaldare i prezzi. Non a caso, l’attuale presidente Ben Bernanke voleva adottare una strategia di inflation targeting, più rigida di quella della Bce; e ha anche compiuto qualche primo passo. Senza contare che fin dai tempi di Greenspan, anche la Fed ha un obiettivo non ufficiale, e di fatto prioritario, di inflazione: il 2 per cento.

Cosa è successo? Bernanke, con la crisi, ha buttato tutto all’aria? No, per nulla. La banca centrale Usa ha compiuto da tempo delle scelte apparentemente tecniche che le permettono di fare scelte temerarie senza contraddirsi. Rischiando però di sbagliare, e in modo sistematico.

La Fed misura l’inflazione in un modo molto particolare. Usa un indice "core", di base, che esclude prodotti alimentari ed energia: quei beni che dipendono dall’andamento dei mercati globali e che hanno una domanda rigida rispetto al prezzo. La spiegazione è che, nel lungo periodo, questa inflazione e quella complessiva coincidono; cosa che la Bce mette invece in dubbio. In ogni caso Bernanke isola così la politica monetaria Usa dai fattori internazionali, determinati anche dalle sue scelte, e da quelli "disturbanti". In più usa un indice che sottostima l’inflazione di almeno un terzo rispetto al "normale" indice dei prezzi (che segnala qualche tensione anche negli Usa).

Bernanke ripete così l’errore della Fed del 2003. Evita ora di affrontare le difficoltà e i conflitti tra gli obiettivi - ignorando per di più, come sempre, la stabilità finanziaria - e promette di mantenere condizioni monetarie ultraespansive molto a lungo, alterando così la valutazione dei rischi degli investitori. Corre anche il pericolo, come nel 2004, di dover improvvisamente invertire la rotta e diventare così, con la stretta, una parte del problema.

Trichet, meno temerario ma più coraggioso, ha scelto di tener conto di tutto, e ha ammesso di navigare verso la tempesta della crescita diseguale, dei prezzi in tensione e dei rendimenti dei bond sotto stress. Una posizione decisamente scomoda, che evita però il rischio delle brusche inversioni di rotta.