Maurizio Sacconi, Avvenire 27/1/2011, 27 gennaio 2011
«RIAPPROPIARSI DEL SENSO DEL LAVORO E DELLA VITA»
P er chi si cura, ai vari livelli di responsabilità, di lavoro e giovani, gli stimoli che provengono dal Presidente della Conferenza episcopale italiana sono preziosi. Tanto nell’ambito del nostro impegno quotidiano, quanto in quello progettuale e dell’azione politica. Quelle del cardinale Bagnasco sono le stesse preoccupazioni che negli ultimi anni hanno mosso il governo nell’affrontare i temi dell’insicurezza e della disoccupazione giovanile, «dramma per l’intera società».
L’Italia vive un paradosso profondo e diffuso: una situazione economi¬ca relativamente agiata, dove però i giovani non trovano un lavoro coe¬rente con le loro aspirazioni e le im¬prese non trovano lavoratori con le competenze e le professionalità ri¬cercate.
Mai come ora è necessaria una ri¬voluzione culturale per ritornare a dare dignità al lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, anche quelle manuali. Perché troppo spesso ab¬biamo dimenticato e sottovalutato la valenza educativa, culturale e for¬mativa del lavoro: un lavoro fatto con passione, serenità, motivazio¬ne. Tale rinnovamento è ancor più ostico in una società dove «la de¬sertificazione valoriale ha prosciu¬gato l’aria e rarefatto il respiro», ma proprio per questo è necessaria.
Non è una sfida che riguarda i soli politici. Essa coin¬volge tutti noi: gli at¬tori sociali, le fami¬glie e, innanzi tutto, gli stessi giovani. Se infatti è vero che la nostra generazione ha verso di loro un «debito di futuro», è altrettanto vero che sta alla loro respon¬sabilità coltivare i propri talenti e dare credito al proprio desiderio di incide¬re sulla realtà per cambiarla in me¬glio. Lo ha scritto il Papa nel suo messaggio per la prossima Giorna¬ta mondiale della gioventù: «La do¬manda di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i pie¬di è un problema grande e pressan¬te, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. (…). È parte dell’essere giovane de¬siderare qualcosa di più della quo¬tidianità regolare, di un impiego si¬curo e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande».
Proprio in questi giorni, con i colle¬ghi Gelmini e Meloni, si è avviato un monitoraggio relativo all’attuazio¬ne del Piano di azione per l’occu¬pabilità dei giovani Italia 2020, per il quale sono impegnate risorse per oltre un miliardo di euro. La priorità non è solo il contrasto alla disoccu¬pazione giovanile, ma anche l’esi¬genza di superare l’inattività, misu¬rata in quasi due milioni di ragazzi che né studiano né lavorano né cer¬cano impiego, a rischio di deriva e nichilismo.
Le misure avviate hanno anzitutto lo scopo di superare il disallineamen¬to, in Italia più evidente che altrove, tra le competenze richieste dal mer¬cato del lavoro e quelle depositate dai percorsi educativi. A questo sco¬po è stata raddoppiata l’attività di monitoraggio dei mestieri eviden¬ziati dalla domanda delle imprese portandola a una cadenza trime¬strale e a una articolazione territo¬riale di tipo provinciale. Le stesse conoscenze dei giovani sono perio¬dicamente rilevate su base campio¬naria e attraverso la valutazione del¬le attività educative. Sono stati po¬tenziati i servizi per l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, dal motore di ricerca istituzionale www.cliclavoro.gov.it agli uffici di o¬rientamento e collocamento nelle università, destinati ora a riprodur¬si nelle scuole superiori.
Tutto il processo riformatore nelle scuole di ogni ordine e grado come nelle università si muove nel segno di una necessaria integrazione con il mercato del lavoro e della conse¬guente rivalutazione delle stesse co¬noscenze pratiche. Le nuove linee guida per la formazione riconosco¬no il primato del¬l’apprendimento in ambiente lavorativo e l’utilità di certifi¬cazioni sostanziali delle competenze effettive. Il Piano in¬fine individua nel contratto di ap¬prendistato il modo migliore per transi¬tare dalla scuola al lavoro in termini convenienti tanto per i giovani quanto per le imprese. La sua diffusione sarà possibile valorizzandone non solo la forma di tipo professionaliz¬zante, per chi è al suo primo impie¬go, ma anche la possibilità di scuo¬la- lavoro a partire dai quindici an¬ni e la modalità che permette l’alta formazione, pure universitaria, per i giovani che vogliono conseguire un titolo di studio lavorando. Il Pia¬no Giovani sostiene in particolare la diffusione di questo contratto nel¬l’artigianato, al fine di incoraggiare le nuove generazioni a scoprire il fa¬scino del lavoro manuale, coltivan¬do quella «intelligenza nelle mani», come diceva don Bosco, che non è una vergogna, ma un talento.
La maggiore inclusione dei giovani nel mercato del lavoro deve in ogni modo partire dall’offerta di opportunità che sollecitino la loro re¬sponsabilità. Non è un tratto di penna legislativo – né un incentivo trat¬to dal bilancio dello Stato – la fonte di un lavoro continuo. Solo l’occu¬pabilità, intesa come possesso di co¬noscenze e di esperienze, conduce alla convenienza delle imprese di rapporti di lavoro fidelizzati, luogo di ulteriore apprendimento. E alla base di tutto non può comunque che essere quella diffusa riappro¬priazione del senso del lavoro, del¬l’utilità verso se stessi e verso gli al¬tri, che si determinano solo se vi è adeguato riconoscimento, anche nella dimensione pubblica, del va¬lore della vita.